La psoriasi del cuoio capelluto è una forma di psoriasi che causa la formazione di lesioni a placche nell’area della testa ricoperta dai capelli. Si calcola che l’interessamento al cuoio capelluto riguardi il 75 per cento degli psoriasici e che nel 25 per cento dei nuovi diagnosticati questa è l’unica area del corpo colpita dalla patologia.
La psoriasi è una malattia che può portare, se non adeguatamente trattata, a conseguenze importanti sull’autostima dei pazienti che ne sono affetti. La ragione è duplice: da un lato si tratta di una malattia cronica, che il paziente sa di dover gestire per tutta la vita ma senza potersene mai liberare del tutto. Ciò può essere causa di sofferenza che può condurlo a perdita di fiducia in se stesso. D’altro lato si tratta di una patologia che causa danni visibili sulla pelle, in varie zone del corpo, e ciò ha un impatto sull’immagine corporea, sul benessere psicologico e quindi anche sulla percezione di se stessi in contesti relazionali.
Quando l’immagine corporea, cioè la percezione soggettiva che abbiamo del nostro stesso corpo, è influenzata da lesioni che colpiscono la pelle – magari in aree ben visibili, come il viso – le emozioni possono oscillare: alcuni pazienti provano vergogna e imbarazzo nell’interazione con gli altri che spingono a mantenere le distanze. Ma è proprio la vergogna ad agire negativamente sull’autostima: quando ci vergogniamo, diamo un giudizio globale su di noi. E a quel punto non è più la pelle il problema, ma noi stessi e la nostra identità.
Questo vale in particolare per le persone più giovani: non dimentichiamo che la psoriasi insorge frequentemente in età giovanile, magari durante la prima adolescenza già di per sé caratterizzata da sconvolgimenti psicofisici che possono far sentire inadeguati anche i ragazzi senza patologie cutanee.
A tutto ciò si possono aggiungere alcuni meccanismi psicologici che complicano la situazione. Ad esempio gli psicologi notano nei pazienti con psoriasi quello della cosiddetta astrazione selettiva. Quando c’è qualcosa che non va in noi tendiamo a concentrarci solo su quello: più il paziente psoriasico pensa alle sue lesioni, più ci fa caso e più dimentica che gli altri invece vedono in lui anche altro.
Ad esempio gli occhi, il sorriso, il fisico… Chiaro quindi come senza un supporto adeguato la psoriasi possa spingere molti a non mostrarsi per paura del giudizio altrui. Il primo passo è dunque quello di chiedere aiuto: un supporto professionale da parte di uno psicologo è la soluzione migliore, insieme ovviamente a un’adeguata terapia medica.
Un primo passo deve venire però dal paziente. È importante ad esempio che impari a guardare oltre la psoriasi, a riconoscere le sue capacità e, soprattutto, a prendere il controllo della malattia: occorre cioè avere parte attiva nel percorso clinico, discutendo le scelte terapeutiche con il medico così da non sentirsi sopraffatto dagli eventi.
Anche qualche buona abitudine aiuta mente e corpo: è dimostrata l’utilità di dedicarsi all’attività fisica, allo yoga, agli esercizi di respirazione. Sono tutte idee utili per ritrovare un buon rapporto con il proprio corpo, per rilassarsi e quindi recuperare l’autostima persa. Solo così si evita il rischio di cadere in veri e propri episodi depressivi che possono colpire talvolta gli psoriasici, specie più giovani.