Terapia - 22 dicembre 2022
Risponde: NICOLÒ BORSELLINO - DIRETTORE DELL'UNITÀ OPERATIVA COMPLESSA DI ONCOLOGIA MEDICA
OSPEDALE BUCCHERI LA FERLA FATEBENEFRATELLI, PALERMO
Terapia - 22 dicembre 2022
Risponde: NICOLÒ BORSELLINO - DIRETTORE DELL'UNITÀ OPERATIVA COMPLESSA DI ONCOLOGIA MEDICA
OSPEDALE BUCCHERI LA FERLA FATEBENEFRATELLI, PALERMO
Terapia - 22 dicembre 2022
Risponde: NICOLÒ BORSELLINO - DIRETTORE DELL'UNITÀ OPERATIVA COMPLESSA DI ONCOLOGIA MEDICA
OSPEDALE BUCCHERI LA FERLA FATEBENEFRATELLI, PALERMO
Terapia - 22 dicembre 2022
Risponde: NICOLÒ BORSELLINO - DIRETTORE DELL'UNITÀ OPERATIVA COMPLESSA DI ONCOLOGIA MEDICA
OSPEDALE BUCCHERI LA FERLA FATEBENEFRATELLI, PALERMO
Terapia - 20 Novembre 2017
Risponde: ROBERTO BORTOLUS - CRO AVIANO
Quanto è importante il trattamento precoce per la cura del tumore alla prostata? La risposta è tanto o poco o niente. Si parla molto di prevenzione.
Terapia - 16 Novembre 2017
Risponde: ROBERTO BORTOLUS - CRO AVIANO
In numerose realtà italiane esiste oggi un team multidisciplinare dedicato alla gestione del carcinoma della prostata. Si tratta di un gruppo di figure professionali diverse, tra cui urologo, oncologo, radioterapista, ma anche internista, radiologo, anatomopatologo, medico nucleare, psicologo e ricercatori di base, che consente di offrire strategie terapeutiche univoche per la cura del carcinoma prostatico, qualità dell’assistenza ed esauriente informazione del paziente e della famiglia.
Multidisciplinarietà nella gestione del carcinoma prostatico: questo direi che dovrebbe essere il topic, cioè se noi abbiamo un tumore della prostata non possiamo pensare che deve essere trattato da un singolo Specialista.
Il tumore della prostata è un tumore che si può guarire, si guarisce una grossa percentuale dei casi, ma si può anche fallire. Fallire non vuol dire morire, fallire vuol dire non scegliere o non essere indirizzati verso e l'approccio terapeutico più idoneo.
Credo sia indispensabile al giorno d'oggi che l'urologo, il radioncologo, l'oncologo medico, il radiologo se c'è, l'anatomopatologo, il medico nucleare insieme formino un team di esperti, un expertise che deve dare al paziente la risposta giusta per il problema. Una risposta giusta che deve essere la personalizzazione del trattamento, una personalizzazione del trattamento che deve passare attraverso la qualità di vita del paziente, la quantità di vita attesa, il rapporto con i suoi familiari, il rapporto con l’hinterland in cui vive… ecco il team multidisciplinare deve raccogliere tutte queste informazioni e deve, valutando il tipo di tumore, l'aggressività del tumore eccetera, dare l'approccio terapeutico più idoneo e più indicato.
Non è una banalità, ma anche nel 2017 capita di vedere spesso dei pazienti che iniziano male l'approccio terapeutico perché vanno da uno specialista e incominciano una terapia che poi potenzialmente è sbagliata e gli specialisti poi devono modificarla… Allora, si può guarire, si guarisce una grossissima percentuale dei casi, però, mi raccomando, il tumore della prostata e la patologia prostatica, oncologica in generale, deve essere valutata, trattata da un team multidisciplinare. Solo più teste messe insieme danno la risposta terapeutica.
Pensate che negli Stati Uniti hanno fatto un sondaggio in cui se il caso veniva presentato - anche all'interno di team multidisciplinare - dal chirurgo urologo la maggior parte dei pazienti switchava verso la chirurgia; se veniva presentato in minima parte da radioncologo switchava verso la radioterapia. Ecco, sembra logico, però è logico se è discusso all'interno di un team, altrimenti non è logico neanche questo atteggiamento.
Terapia - 15 Novembre 2017
Risponde: ROBERTO BORTOLUS - CRO AVIANO
La radioterapia è un trattamento radicale del tumore alla prostata e trova applicazioni sia nei casi di malattia confinata alla ghiandola prostatica, sia nei casi di tumore metastatico.
La radioterapia è una cura oncologica che si basa sull'utilizzo delle radiazioni ionizzanti, i raggi che noi conosciamo tutti, che servono per fare delle radiografie e con un'energia molto maggiore servono per curare i tumori.
Il meccanismo con cui questo agisce è cercare di ledere la cellula malata e ledere il meno possibile la cellula sana. La cellula sana poi ha la capacità di riparare, di ricostruire, di riparare il danno, mentre la cellula malata ha un po’ più di difficoltà, per cui una delle strategie è proprio quella di irradiare, di trattare una zona cercando appunto di salvaguardare i tessuti sani.
Vi faccio un esempio molto banale, per i non addetti ai lavori: voi pensate a una ruota di una bicicletta, nella parte centrale lì c’è tutto, arriva tutto. Lì c'è la prostata, per esempio, parliamo di prostata: i raggi vengono mandati dall'esterno e ci sono delle zone in cui i raggi non passano, non arrivano. Noi scegliamo quali zone sfruttare meglio e in quali zone invece non far passare i raggi, quindi facciamo delle terapie molto selettive e selezionate laddove ci serve fare un trattamento oncologico.
Ecco, la seconda parte della domanda era dov’è indicata? Diciamo che la radioterapia può essere indicata in tutte le forme tumorali: può essere fatta come trattamento radicale, quindi la radioterapia cura un tumore, può essere fatta a livello preventivo, la radioterapia viene fatta dopo una terapia ad intento radicale, per esempio la chirurgia, quindi la radioterapia ha lo scopo di evitare che la malattia possa ricomparire, oppure può essere fatta anche allo scopo di trattamento dei sintomi. Quando ci sono dei sintomi, delle compressioni, delle metastasi ossee, la radioterapia ha una funzione proprio di cercare di ridurre la compressione, di ridurre il sintomo e quindi avere una finalità palliativa.
Terapia - 18 Luglio 2018
Risponde: DAVIDE PASTORELLI - DIRETTORE UOC ONCOLOGIA MEDICA , ULSS 1 DOLOMITI FELTRE (BL)
Il paziente ha bisogno di umanità da parte del medico. L’umanizzazione in Oncologia significa saper ascoltare e coinvolgere il paziente nelle decisioni.
Di essere umano. L’oncologo deve essere... gli chieda di essere umano. Perché? Ci sono tanti eventi, si parla di umanizzazione, ma si confonde molto qual è il significato di umanizzazione, parlo in Oncologia, ma dovrebbe essere in tutta la sanità.
Molto spesso si confondono le attività ricreative o ludiche (l’angolo della lettura, l’angolo della pittura…) con l’umanizzazione. Non c’entra assolutamente nulla, quelle sono delle cose, delle iniziative collaterali.
L ’umanizzazione in Oncologia e in Medicina è mettersi in discussione (l’operatore sanitario) sulle capacità che ha di ascoltare, accettare l’altro e condividere con lui le scelte. Questo significa, questo deve chiedere.
Il nostro lavoro l’abbiamo scelto noi, non ce l’hanno imposto, e il paziente – chiamiamolo utente -, l’utente deve chiedere al professionista di essere in grado di ascoltare quello per cui lui è presente in quel momento, in una situazione di contesto storico e di vissuto devastante, perché mette in discussione tutta la sua esistenza una diagnosi di tumore. Quindi l’ascolto.
Terapia - 26 Novembre 2018
Risponde: GIACOMO CARTENÌ - DIRETTORE UOC ONCOLOGIA MEDICA DELL’OSPEDALE ANTONIO CARDARELLI DI NAPOLI
Empatia e ascolto: sono queste le basi su cui si deve costruire il rapporto fiduciario tra medico e paziente.
Questo è un aspetto estremamente importante, direi cruciale: empatia e ascolto. Sono questi due aspetti, che sembra strano perché noi ci aspettiamo che, quando un paziente venga da noi, voglia sentire da noi che cosa deve fare, le strategie eccetera. La verità è che c’è una fase, che è quella, appunto, dell’ascolto, che è fondamentale per instaurare un rapporto empatico, cioè il paziente deve sentire che noi abbiamo sentito quello che lui sta vivendo e, solo dopo che si è instaurato questo rapporto di ascolto, solo allora poi, di fatto, possiamo formulare quelli che sono gli aspetti diagnostici che certe volte sono anche cruenti, e quindi dobbiamo accompagnare il nostro paziente a fare questi accertamenti anche cruenti e poi aiutarli nella gestione della loro terapia. Empatia e ascolto.
Terapia - 05 Aprile 2017
Risponde: GIUSEPPE DI LORENZO - AOU FEDERICO II DI NAPOLI E UNIVERSITÀ FEDERICO II DI NAPOLI
L'oncologo viene coinvolto in tutte le fasi del percorso clinico del paziente, dalla diagnosi iniziale fino al trattamento della patologia.
Oggi l’oncologo medico ha, rispetto a tanti anni fa, un ruolo direi primario nella gestione della neoplasia prostatica intesa sia come diagnosi di neoplasia prostatica e sia anche come terapia.
Ecco, è cambiato lo scenario perché, rispetto ad anni addietro in cui il ruolo dell’oncologo era un po’ messo da parte, era marginale, e noi riuscivamo a trattare i pazienti in una fase direi quasi terminale della storia clinica della malattia, oggi invece il ruolo dell’oncologo è primario, perché l’oncologo partecipa nel team multidisciplinare nella fase iniziale della diagnosi, nella fase poi della gestione della terapia, quindi non soltanto in una fase direi quasi finale della storia, ma durante tutto il percorso clinico del paziente.
Terapia - 22 Dicembre 2016
Risponde: STEFANO MARIA MAGRINI - SPEDALI CIVILI DI BRESCIA E UNIVERSITÀ DI BRESCIA
Ci sono situazioni in cui i ruoli dei diversi specialisti si intersecano, ma al centro deve esserci sempre la specificità del paziente.
Questa è una domanda che è molto interessante e molto importante e mi suggerisce due tipi di considerazioni: la prima è che noi abbiamo sempre collaborato con l’urologo e anche abbiamo collaborato in misura diversa, a seconda del tipo di neoplasia, con i colleghi oncologi medici, piuttosto che non con i chirurghi del torace, piuttosto che non con i colleghi chirurghi otoiatrici.
È chiaro che il fatto che il malato sia considerato congiuntamente da più specialisti, specie laddove il trattamento può essere fatto in un modo o in un altro, limita quello che gli inglesi chiamano bias, limita cioè il fatto che io faccio l’oncologo radioterapista e è naturale che a me piaccia fare il mio mestiere, così come al collega urologo piace fare l’urologo. È chiaro che ci sono delle situazioni in cui chiaramente una modalità è superiore all’altra, ce ne sono altre in cui questo avverbio “chiaramente” non è il più indicato, perché, per esempio, nel tumore della prostata molto dipende dalle preferenze anche dell’ammalato rispetto al tipo di effetti collaterali che quel tipo specifico di trattamento può produrre.
Quello che sarebbe piuttosto importante è che al malato comunque venisse fornita una spiegazione la più possibile obiettiva degli effetti collaterali del trattamento. Non c’è un tumore della prostata, c’è un signore che ha un tumore della prostata e che può avere condizioni molto diverse, è come essere un signore di 80 anni con molte altre malattie o con molte altre cause di comorbidità, oppure un giovane sessantenne. In entrambi i casi la scelta tra radioterapia e chirurgia può dipendere da tantissimi elementi.
Bene è l’attività, la Prostate [Cancer] Unit come la Breast Unit sono dei nomi inglesi che sono accattivanti, diciamo così che fanno riferimento a una realtà che nei centri oncologici che funzionano di questo Paese sono attive e in pratica da tanto tempo e l’ostacolo principale per una loro piena attuazione è l’investimento in risorse di professionisti competenti, più che non nelle macchine piuttosto che nelle varie cose.
Terapia - 18 Novembre 2016
Risponde: STEFANO MARIA MAGRINI - SPEDALI CIVILI DI BRESCIA E UNIVERSITÀ DI BRESCIA
Esistono diverse tipologie di trattamento radioterapico: la radioterapia con fasci esterni e la brachiterapia. Il Prof. Magrini illustra le principali caratteristiche dei due trattamenti.
Ci sono, per quanto riguarda la radioterapia, diverse modalità di attuazione. Le principali sono due: una è la cosiddetta radioterapia con fasci esterni, che si avvale di macchinari che sono, per certi aspetti, molto simili a delle apparecchiature radiologiche; le radiazioni escono da una sorgente che è situata al di fuori del corpo dell’ammalato e vengono indirizzate, con una serie di procedure più o meno sofisticate – oggi in media sono abbastanza sofisticate – esattamente verso la zona che deve essere curata.
C’è poi un’altra disciplina radioterapica che è la brachiterapia, che sfrutta un altro principio, cioè quello di portare a contatto, o addirittura nel contesto stesso del tumore, delle sorgenti radioattive. Le modalità con cui si attua sono diverse: dal posizionamento di piccoli semi di materiale radioattivo all’interno dell’organo, come per esempio nel caso della brachiterapia prostatica, o ancora, di nuovo ancora nel caso della brachiterapia prostatica, con l’inserimento di vettori, di aghi che consentono di inserire un preparato radioattivo all’interno della ghiandola prostatica, però per un periodo di tempo limitato. E poi ci sono anche altre modalità che, per esempio, sfruttano le cavità naturali dell’organismo.
Diciamo che la modalità più ampiamente diffusa è quella della radioterapia con fasci esterni, che è oggi ben rappresentata su tutto il territorio nazionale, mentre, per quanto riguarda la brachiterapia, è una metodica che potremmo definire “super specialistica”, diciamo così, per cui non tutti i centri dispongono di una sezione di brachiterapia.