Tumore alla prostata: come si arriva alla diagnosi? I dati dell'indagine Istud

Tumore alla prostata: come si arriva alla diagnosi? I dati dell'indagine Istud

Nelle sue fasi iniziali, il tumore alla prostata è sempre asintomatico. Questo spiega il motivo per cui, frequentemente, la diagnosi avviene in modo casuale, oppure nel corso di screening di prevenzione: questo capita in un caso su tre, secondo i dati raccolti da Fondazione Istud nel corso di un'indagine condotta tra ottobre 2016 e luglio 2017 su 50 testimonianze di persone con arcinoma prostatico in fase metastatica e 50 dei rispettivi caregiver.

Nel 33% dei casi la diagnosi di tumore della prostata nasce infatti da un dosaggio dell’antigene prostatico specifico (Psa), proteina secreta dalla prostata, che è normalmente presente in minima quantità nel sangue, ma il cui livello tende ad aumentare in presenza di tumore della prostata.

È dalla rilevazione di un'anomalia dei suoi valori che la maggioranza dei pazienti ha eseguito una visita urologica con esplorazione rettale e indagini successive, che li hanno portati alla diagnosi.

I dati, che pur riguardano una popolazione numericamente limitata, farebbero ben sperare: mostrano infatti come, a oggi, molti pazienti scoprano di essere affetti da cancro alla prostata in una fase ancora iniziale e asintomatica, proprio effettuando visite di routine su indicazione del medico curante o in modo spontaneo.

Quali sono i sintomi del carcinoma prostatico?

È infatti solamente quando la massa tumorale cresce che si manifestano i sintomi, principalmente di tipo urinario.

Questi possono comprendere:

  • difficoltà a urinare, in particolare a iniziare il getto;
  • necessità di urinare spesso, sia di giorno che di notte;
  • indebolimento del getto urinario;
  • incontenibile stimolo a urinare;
  • sensazione di non riuscire a espellere completamente l'urina;
  • dolore durante la minzione;
  • presenza di sangue nelle urine o nello sperma.

Dai dati Istud emerge come, tra tutti quelli elencati, il sintomo più riscontrato dai pazienti, nel 22% dei casi, sia rappresentato dalle difficoltà a urinare in modo corretto o dalla fatica a iniziare a emettere il getto. Al secondo posto viene riportata la pollachiuria, cioè l'esigenza di urinare con maggior frequenza, nel 18% dei casi. La presenza di sangue nelle urine è il primo sintomo solo nel 7% dei casi.

Il ritardo diagnostico: perché?

Il tumore della prostata cresce spesso lentamente, per questo i sintomi potrebbero non presentarsi per molti anni: compaiono, infatti, quando il tumore è abbastanza voluminoso da esercitare pressione sull’uretra.

Una diagnosi che giunge a uno stadio sintomatico è pertanto tardiva.

Peraltro, va considerato che, anche in presenza di sintomi, alcuni pazienti tendono a sottovalutarli, almeno inizialmente: sono infatti molto simili a quelli che si accompagnano ad altre condizioni benigne, tipiche di chi ha superato i cinquant'anni, come l’ipertrofia prostatica benigna.

Questo può portare il paziente affetto da questa condizione, o comunque consapevole che questi sintomi sono comuni oltre la quinta decade d'età, a ignorare a lungo la sintomatologia, giungendo a una diagnosi di carcinoma prostatico troppo in ritardo.

I fattori di rischio e la diagnosi precoce

Appare pertanto evidente l'importanza di screening e controlli a scopo preventivo per tutti i pazienti che abbiano superato i cinquant'anni, o anche prima in modo particolare se sono presenti fattori predisponenti.

Nonostante le cause reali rimangano tuttora sconosciute, si possono infatti individuare due fattori di rischio che certamente aumentano le probabilità di ammalarsi di cancro alla prostata: la familiarità e l’età.

Gli uomini che hanno un parente di primo grado (padre, zio o fratello), che ha o ha avuto un carcinoma prostatico, hanno un maggiore rischio di ammalarsi, specialmente se la malattia è stata diagnosticata a più di un familiare anche prima di 65 anni. In questi casi è bene che effettuino controlli già a partire dai 40-45 anni.

L'età media di insorgenza

Quanto all’età di insorgenza, i dati dell'indagine Istud confermano quelli di letteratura. Se infatti le diagnosi precedenti ai 45 anni sono molto poche, l’età media al momento della diagnosi dei pazienti intervistati era di 65 anni, con un range che va da un minimo di 44 fino a un massimo di 80 anni.

Il 54% dei partecipanti ha avuto la comunicazione di diagnosi di carcinoma alla prostata prima dei 65 anni, mentre il restante 46% è suddiviso tra persone che hanno appreso della malattia tra i 65 e i 75 anni e coloro a cui è stata diagnosticata dopo i 75.

Naturalmente, il rischio può aumentare anche in presenza di altre condizioni: ad esempio l’obesità, l’esposizione a inquinanti ambientali, il fumo, una dieta ricca di latticini e grassi animali e povera di frutta e verdura, la sedentarietà.

Sempre più attenzione allo screening

La buona notizia, almeno stando ai dati Istud, è che l'importanza della diagnosi precoce risulta essere un concetto fatto proprio da sempre più pazienti ma anche dai medici di medicina generale: sempre secondo i dati, infatti, nel 32% dei casi la diagnosi è arrivata dopo il dosaggio del Psa con esito positivo, prescritto proprio dal medico di base, a cui è seguita la visita urologica.

Va però segnalato come nel 13% dei casi, il percorso sia invece iniziato in altro modo, ad esempio dopo un consulto per altre ragioni con altri specialisti che, per varie ragioni, hanno suggerito un controllo urologico o un dosaggio dello stesso antigene.

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Vivere, assistere e curare la persona con carcinoma prostatico in fase metastatica, Fondazione Istud, Milano 2017

Tumore della prostata, Airc,www.airc.it/cancro/informazioni-tumori/guida-ai-tumori/tumore-della-prostata

Il cancro alla prostata, Aimac


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