Da tempo si conoscono molti fattori di rischio per il tumore alla prostata. Ad esempio è ben nota una familiarità: si stima infatti che le probabilità di ammalarsi siano almeno doppie nel caso in cui un familiare di primo grado risulti affetto da questa neoplasia. Lo stesso rischio aumenta di 5-11 volte se due o più parenti di primo grado ne sono affetti. Inoltre è noto che alcune comunità etniche, come gli ebrei aschenaziti, hanno un rischio maggiore. Tutto ciò ha fatto supporre l'esistenza di una qualche influenza genetica nell'insorgenza della malattia.
È però solo in tempi relativamente recenti che è andato crescendo l'impiego della genetica nello studio delle cause del carcinoma prostatico. È stato così scoperto il ruolo di alcune mutazioni genetiche: ciò è chiaro ad esempio nel fatto che il cancro alla prostata è associato in molti casi alla sindrome di Lynch, una forma di cancro ereditario che colpisce il colon e il retto. Tra le scoperte genetiche va citato anche quella che riguarda il ruolo di alcuni geni, detti "oncosoppressori", in grado di riconoscere e correggere danni del Dna che causano il cancro. Se colpiti da una mutazione, questi geni possono infatti perdere la loro capacità di riparare il Dna aprendo la strada a diversi tumori. Le alterazioni genetiche dei geni di riparazione del Dna sono stati studiati, nel cancro alla prostata, soprattutto nel corso degli ultimi cinque o sei anni.
Tra i geni oncosoppressori più studiati ce ne sono due, detti BRCA1 e BRCA2, situati rispettivamente sui cromosomi 17 e 13 e tipicamente associati al sesso femminile: se interessati da mutazioni, questi comportano una maggior probabilità di sviluppare tumori alla mammella o all’ovaio. È stato però dimostrato che queste alterazioni genetiche possono associarsi anche al tumore prostatico, di cui potrebbero essere un campanello d’allarme per una diagnosi precoce. Nei maschi sani che in famiglia hanno casi di questa patologia, ma anche di tumore all'ovaio o alla mammella, la presenza di queste alterazioni accrescono il rischio di ammalarsi di tumore alla prostata.
Nel 2015 il Cancer Genome Atlas, programma internazionale destinato a creare un catalogo delle mutazioni genetiche responsabili del cancro, ha pubblicato un’analisi molecolare di 333 tumori prostatici primari (cioè non metastatici) che ha mostrato il ruolo di diversi geni oncosoppressori: oltre a BRCA2 e BRCA1, sono stati identificati anche altri. Tra questi ci sono i geni ATM, CDK12, FANCD2 e RAD51C. Anche nel tumore alla prostata metastatico sono stati riportati risultati interessanti. Ad esempio un report voluto dalla American Association for Cancer Research Prostate Cancer insieme a due realtà attive nella ricerca e sensibilizzazione sul tumore alla prostata ha indicato come il gene BRCA2 fosse alterato nel 13 per cento delle biopsie mentre il BRCA1 nello 0,3 per cento. Nel tumore metastatico le più frequenti alterazioni coinvolgono però i geni DDR, un'altra tipologia di geni oncosoppressori. Questi, secondo un altro studio, sono alterati nel 10 per cento dei tumori primari e nel 27 per cento di quelli metastatici.
Le mutazioni dei geni oncosoppressori possono avere un impatto importante nella diagnosi del tumore alla prostata. Ma non solo: conoscerle è utile anche per la terapia.
Associazione Italiana di Oncologia Medica, Raccomandazioni AIOM per l’implementazione dell'analisi mutazionale BRCA nei pazienti con carcinoma della prostata metastatico, https://www.aiom.it/wp-content/uploads/2021/02/2021_Racc_BRCA_prostata.pdf
GENI BRCA e tumore alla prostata: uno studio Humanitas, Humanitas Research Hospital, https://www.humanitas.it/news/geni-brca-e-tumore-alla-prostata-uno-studio-humanitas/
Giri VN, "Genetic testing and the precision medicine era of prostate cancer", Urology Times, https://www.urologytimes.com/view/genetic-testing-and-the-precision-medicine-era-of-prostate-cancer