La diagnosi di carcinoma prostatico: affrontare lo shock e scoprire le strategie di adattamento

LA DIAGNOSI DI CARCINOMA PROSTATICO: AFFRONTARE LO SHOCK E SCOPRIRE LE STRATEGIE DI ADATTAMENTO

La diagnosi di tumore alla prostata, come quella di qualsiasi altro tumore, è inevitabilmente uno shock. Anche quando la prognosi è favorevole, la notizia porta con sé tutto il peso emotivo che si associa al cancro. La diagnosi di una grave malattia è purtroppo un evento critico che minaccia l’individuo e interferisce con i vari aspetti dell'esistenza, con il corpo, la mente e le relazioni con gli altri. Le reazioni alla diagnosi possono essere diverse, da persona a persona, in funzione di alcuni fattori: la prognosi che viene comunicata e le caratteristiche della malattia, le prospettive di trattamento che sono offerte al paziente, ma anche variabili personali come l’età, la personalità, la situazione familiare, relazionale e lavorativa e naturalmente le risorse emotive di cui il paziente dispone in quel momento della sua vita.

Diagnosi di cancro alla prostata: le fasi della reazione psicologica

Di fronte a una diagnosi di tumore alla prostata un uomo tende a reagire seguendo alcune fasi, che gli psicologi hanno ben definito:

- Una prima fase è quella dello shock: il paziente è incredulo, esterrefatto, angosciato e ha l'impressione di vivere una catastrofe o semplicemente fatica a credere che questa diagnosi sia giunta proprio a lui.

- Successivamente il paziente mette in atto meccanismi di difesa di tipo non adattivo. Tenta cioè di difendersi da ciò che gli sta capitando, ma in modo non virtuoso. Ad esempio può impiegare la negazione: convincersi che la diagnosi non sia corretta, magari iniziando a fare ricerche in autonomia nella speranza di trovare cure diverse da quelle proposte dai medici. In alcuni casi invece tende a rifiutare l'idea stessa del cancro, isolandosi, chiudendosi in sé, fino ad apparire anaffettivo, quasi come se non gli fosse capitato nulla.

- Una volta superata questa fase, e presa coscienza della realtà della diagnosi, alcuni pazienti possono esprimere emozioni estremamente intense e persino distruttive: collera, rabbia oppure al contrario estrema ansia e paura.

- Inevitabilmente questo momento viene presto superato quando il paziente scende a patti con la realtà. A quel punto inizia il complesso periodo di accettazione, nonché di scelta di impegnarsi nel percorso di cura: si tratta cioè di un assestamento dopo il quale il paziente, pur nella consapevolezza della malattia, ritrova un sufficiente equilibrio per poter intraprendere il percorso di cure.

A questo punto il paziente si trova di fronte a un bivio: scegliere di sapere tutto della propria malattia, ponendo domande ai medici, oppure rimanere parzialmente all'oscuro di ciò che gli sta capitando per non alimentare la propria ansia? Ovviamente è una scelta che ciascuno deve prendere per sé. Va detto che oggi i medici riscontrano un notevole incremento nel bisogno dei pazienti di ricevere informazioni, peraltro oggi disponibili facilmente grazie alla rete. Di certo se la persona con tumore alla prostata vuole essere informata, anche nel dettaglio, circa la gravità della malattia e le speranze di guarigione ha tutto il diritto di essere correttamente informata dai medici. In questo senso può essere di aiuto per il paziente annotare ogni dubbio o domanda che vorrebbe porre all'Oncologo, magari facendosi accompagnare da una persona fidata che possa supportare il paziente in un momento così delicato.

Il colloquio medico-paziente come mezzo per il controllo psicologico sulla malattia

Purtroppo il malato oncologico trova talvolta complesso comunicare con il proprio medico a causa della difficoltà a esternare il proprio disagio psicologico. Nel successo della comunicazione medico-paziente conta quindi anche la capacità del primo di focalizzare il colloquio non solamente sulla malattia organica, ma anche sul corollario psicologico: di fronte a un medico che lascia spazio ai dubbi e alle paure del paziente, quest'ultimo non si sentirà in imbarazzo a manifestare le proprie emozioni o, più semplicemente, a porre tutte le domande che lo angosciano, anche quelle che possono sembrare più banali. Sempre più studi dimostrano infatti come una comunicazione adeguata tra oncologo e paziente permetta a quest'ultimo controllo psicologico sulla malattia e maggiore capacità nel fronteggiare i momenti critici con un impatto positivo sull'adattamento alla nuova condizione e alle terapie da seguire.

Una comunicazione semplice che rispetti i tempi del paziente

Anche il medico però deve fare la sua parte nel gestire una comunicazione adeguata: deve comprendere quello che il paziente sta affrontando e dare risposta alle sue emozioni, chiedergli cosa pensa della malattia e delle terapie proposte così da comprendere quanto questo sia disposto a essere aderente alla terapia. Il tutto con un linguaggio semplice e diretto, che rispetti i tempi del paziente, e sempre accertandosi che questo abbia capito e preso coscienza di ciò di cui si sta parlando.

La psicoterapia per affrontare la malattia

Da un punto di vista del paziente, il primo passo sta nel rifiutare la tentazione iniziale di isolarsi o di fingere che la malattia non esista. Ciò richiede la capacità di trovare l'equilibrio necessario ad affrontare e accettare il cambiamento. Ovvio, non è un percorso semplice specie in quei soggetti che già prima della diagnosi vivevano situazioni di disagio psicologico o sociale. In molti casi, pertanto, uno psicoterapeuta può essere utile in particolare se specificamente formato nella gestione delle emozioni nei pazienti oncologici. Quando la preoccupazione per la malattia diventa troppo invasiva, con un impatto notevole sulla qualità di vita, uno specialista della salute mentale è assolutamente essenziale: solo con questo tipo di supporto il paziente può scoprire strategie di coping, cioè di gestione del problema, adatte a sé e utili a ritrovare la necessaria lucidità.

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FONTI

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