Linfoma a cellule mantellari quando e per chi è il trapianto?

LINFOMA A CELLULE MANTELLARI

Linfoma a cellule mantellari quando e per chi è il trapianto?

Allontanare il più possibile il momento di una recidiva: questo è l’obiettivo principale che si può porre un paziente colpito da linfoma a cellule mantellari. Per questa neoplasia, che rappresenta il 10% dei linfomi non Hodgkin diagnosticati ogni…

» Allontanare il più possibile il momento di una recidiva: questo è l’obiettivo principale che si può porre un paziente colpito da linfoma a cellule mantellari. Per questa neoplasia, che rappresenta il 10% dei linfomi non Hodgkin diagnosticati ogni anno, non esiste ad oggi una cura definitiva, e il decorso è, infatti, caratterizzato da successioni di fasi di remissione e ricadute. Nel corso degli ultimi anni è stato possibile ampliare l’intervallo tra queste due fasi, grazie ad importanti progressi in campo terapeutico.

Uno degli strumenti fondamentali per raggiungere questo obiettivo è il trapianto di cellule staminali ematopoietiche, sia quello autologo (con cellule staminali prelevate dal paziente stesso) sia quello allogenico (con cellule da donatore, nella maggior parte dei casi un familiare). Non sono ovviamente procedure interscambiabili o indicate indistintamente per tutti i pazienti.

La scelta del trattamento nel caso del linfoma a cellule mantellari - non solo in termini di trapianto ma per qualsiasi tipo di trattamento - va fatta tenendo conto dell’aggressività della malattia e di alcune caratteristiche del paziente come età e presenza di comorbidità. Cerchiamo di capirne qualcosa di più.

Trapianto autologo
Attualmente il trapianto di midollo autologo, ovvero il prelievo di cellule staminali emopoietiche presenti nel midollo osseo del paziente e la loro reinfusione, è indicato alla diagnosi nei pazienti con meno di 65 anni a completamento di un trattamento chemioterapico.

Questa procedura viene chiamata di “consolidamento” della terapia e negli ultimi 20 anni si è dimostrata molto efficace nel prolungare la fase di remissione. Inoltre, presenta meno rischi per il paziente di un trapianto allogenico in quanto si eliminano tutti i problemi legati alla compatibilità.

Spesso il paziente trapiantato segue anche una terapia di mantenimento negli anni successivi per prolungare il periodo di remissione. Questa opzione purtroppo non è valida per i pazienti più anziani o con comorbilità.

Trapianto allogenico
Un discorso diverso è quello del trapianto allogenico di cellule staminali ematopoietiche, ovvero un trapianto di cellule o midollo prelevati da un donatore, in molti casi un familiare. Non si tratta di un trattamento di routine ed è una possibilità terapeutica che viene presa in considerazione nel caso di pazienti giovani (al di sotto dei 65 anni) con recidiva.

Di nuovo, come per il trapianto autologo, non tutti i pazienti sono eligibili per la procedura. In uno studio pubblicato lo scorso anno su Cancers, ricercatori italiani appartenenti a diversi centri hanno identificato quali sottogruppi di pazienti potrebbero trarre il massimo vantaggio da questa procedura e in quale momento del percorso di cura.

Tra i pazienti che potrebbero beneficiare di un trapianto allogenico gli autori identificano soggetti giovani e che manifestano una recidiva precoce (a meno di 24 mesi dal trattamento di prima linea) o una risposta insoddisfacente ai regimi di seconda linea. «Il trapianto allogenico di cellule staminali ematopoietiche rappresenta un'opzione da considerare sempre nei casi refrattari; inoltre, i dati emergenti mostrano il suo potenziale ruolo curativo in una popolazione ‘a rischio molto alto’», scrivono gli autori dello studio.

Tuttavia, manca oggi una definizione univoca di pazienti a “rischio molto alto” che gli autori definiscono come quei pazienti che presentano almeno due delle seguenti caratteristiche: alto indice proliferativo, mutazioni TP53, morfologia blastoide delle cellule cancerose.

Per alcuni di questi pazienti, gli studiosi suggeriscono che un trapianto allogenico, potrebbe venire preso in considerazione anche come terapia di consolidamento. Anche secondo uno studio condotto recentemente dal Penn State Cancer Institute il trapianto allogenico potrebbe essere usato come terapia di consolidamento nel caso del linfoma a cellule mantellari. Tuttavia, l’incremento dei rischi, soprattutto di rigetto del trapianto, non sembra in grado di bilanciare eventuali benefici più a lungo termine che questa procedura potrebbe comportare.

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Bibliografia e Fonti:

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