EMATOLOGIA ON STAGE:

<strong>EMATOLOGIA ON STAGE:<strong></strong></strong>

Linfoma a cellule Mantellari e Macroglobulinemia di Waldenström
Gestire lo stress emotivo e psicologico della diagnosi

Eliana Liotta ha incontrato Elisa Scaburri, psiconcologa dell’Ospedale San Raffaele di Milano e Luca Nassi, Ematologo dell’Ospedale Careggi di Firenze, per parlare di Linfoma a cellule Mantellari e Macroglobulinemia di Waldenström.
Iniziamo imparando a riconoscere le caratteristiche cliniche del paziente affetto da Linfoma Mantellare.

“Spesso” sottolinea subito il Dottor Luca Nassi, “i pazienti si rivolgono al medico di base o allo specialista per la presenza di linfonodi ingranditi.”
Talvolta, la malattia si presenta con sintomi sistemici come febbre, calo ponderale, o sudorazioni notturne particolarmente profuse.
In altri casi, il paziente arriva alla diagnosi poiché fa gli esami del sangue, che fanno risuonare campanelli d’allarme.

Parliamo ora delle caratteristiche della malattia di Waldenström.

Il Dottor Luca Nassi ci racconta la biologia alla base di questa patologia: “Le cellule della malattia di Waldenström producono delle immunoglobuline, ovvero degli anticorpi, della classe delle IgM, che hanno la caratteristica di essere particolarmente grosse.” Poiché rallentano il flusso del sangue e ne aumentano la viscosità, limitano la possibilità del sangue di passare attraverso i piccoli vasi periferici, con conseguenti parestesie, formicolii a mani e piedi, scampanellii nelle orecchie, oppure trombosi venose.

Indubbiamente, la diagnosi e le manifestazioni di queste patologie impattano a livello psicologico sul paziente.

Quando si comunica una diagnosi, è fondamentale tenere presente chi si ha davanti. Un paziente giovane, ad esempio, può temere di non riuscire a vivere a lungo, di non arrivare a invecchiare. Diverso è il discorso per un paziente anziano, che ha una lunga vita alle spalle.
La Dottoressa Elisa Scaburri ci ricorda, inoltre, che il paziente arriva spesso a una diagnosi di queste patologie dopo aver svolto esami di routine: “ C'è sempre un momento di shock iniziale.”

È dunque importante un supporto psicologico al percorso clinico.

“È fondamentale.” Questo il commento del Dottor Luca Nassi.
Il paziente passa la maggior parte del tempo a casa, non in ambulatorio. E dunque essenziale che riceva un aiuto per interpretare e capire al meglio ciò che il clinico gli ha comunicato, e per vivere al massimo delle sue possibilità il periodo di trattamenti che deve affrontare in seguito alla diagnosi. “Supportare e accompagnare il paziente durante tutto il percorso di cura.” Questo è il ruolo dello psiconcologo, secondo la Dottoressa Elisa Scaburri.

E proprio fuori dall’ospedale, è il caregiver ad avere un ruolo di vitale importanza.

Il caregiver si occupa del paziente quando è a casa. È fondamentale come supporto, non solo da un punto di vista concreto e fisico, ma anche emotivo e affettivo.
E dunque importante che il clinico si ritagli del tempo per comunicare in modo adeguato sia col paziente che con il caregiver.

In conclusione: avere una patologia rara comporta un profondo stress emotivo e psicologico.

Secondo la Dottoressa Elisa Scaburri, è però possibile gestire queste manifestazioni: “Lo stress fa parte della vita, ma viene acutizzato da alcune situazioni, come una patologia ematologica, soprattutto se questa è una patologia rara. Cosa fare per aiutare il paziente: fornirgli uno spazio nel quale possa sentirsi fragile, possa avere paura, possa sperimentare la paura, la tristezza, tutte le emozioni negative che gli girano dentro, in modo da aiutarlo a elaborarle.”

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