Il Dottor Antonino Greco sottolinea immediatamente che “la maggior parte dei pazienti raggiunge una diagnosi del tutto occasionale.”
La diagnosi, spesso, arriva in corso di accertamenti svolti per altri motivi, e si caratterizza per la cosiddetta linfocitosi: “Un aumento di un tipo specifico di globuli bianchi.” Questo è un primo segnale d’allarme riscontrabile già dal medico di base, che poi richiede all’ematologo di svolgere una valutazione più ampia. Attraverso prelievi del sangue, emocromo e citofluorimetria, si arriva a una diagnosi precisa di leucemia linfatica cronica.
Si tratta, come ci ricorda il Dottore, di “un paziente asintomatico, che probabilmente rimarrà asintomatico anche per molto tempo. Circa il 50% dei pazienti in stadio iniziale rimane asintomatico anche per decenni. Però sono pazienti che vanno, ovviamente, seguiti e controllati in ematologia per verificare se, e quando, la situazione dovesse modificarsi.”
La Dottoressa Elisa Scaburri non ha dubbi in merito: i momenti di maggior stress psicologico sono quelli di attesa, nei quali la malattia è asintomatica e il paziente non ha bisogno di cure, ma solo di controlli.
“Sono proprio questi i momenti che creano e generano la maggiore ansia e angoscia nel paziente.”
Per i medici, la diagnosi è il punto di arrivo di una serie di indagini cliniche, che portano a una interpretazione dei sintomi manifestati dal paziente.
“Per il paziente, invece” sottolinea la Dottoressa Cinzia Pellegrini, “la comunicazione di una diagnosi di Leucemia Linfatica Cronica è l’inizio di un grosso cambiamento nella sua vita, perché passa da una condizione di salute a una condizione di malattia.”
Sul piano psicologico, il medico deve comunicare la diagnosi con un linguaggio comprensibile al paziente, deve essere disposto a rispiegare più volte se il paziente non ha compreso appieno la natura e le implicazioni della diagnosi: “E deve rispondere anche ai suoi dubbi.”
Secondo il Dottor Antonino Greco, da questo punto di vista medico e paziente sono fortunati: “Questi pazienti sono seguiti cronicamente in ambulatorio e questo consente di accorgersi, al momento giusto, che qualcosa nella malattia sta cambiando.”
I segnali d'allarme provengono, in genere, da un’alterazione dei valori degli esami del sangue: raddoppio continuo della conta dei globuli bianchi, riduzione dei livelli di emoglobina (anemia) o delle piastrine (piastrinopenia) ingravescente, che non ha altre giustificazioni cliniche.
Ulteriore fattore, non da meno, è la valutazione che fa il medico dei linfonodi: “I linfonodi sono le nostre stazioni di difesa.” Nei pazienti con Leucemia Linfatica Cronica sono ingrossati, rigonfi in maniera lieve o in modo più importante. Queste adenopatie possono essere un segno di peggioramento o segnalare la necessità di trattare la malattia.
Il caregiver è, per definizione, la persona che si prende cura del proprio caro: lo accompagna alle visite, è presente al momento della diagnosi, durante i controlli, quando si prendono decisioni terapeutiche.
“E anche la persona che assiste il proprio caro a casa.”
Nei momenti di solitudine, angoscia, preoccupazione e sfiducia, il caregiver è sempre presente.
Il Dottor Antonino Greco parla del rapporto medico-caregiver: “Sicuramente il medico è tenuto a lavorare bene con il caregiver.”
E importante che il caregiver comprenda le problematiche esistenti e quelle che possono insorgere, in modo che medico e caregiver possano affrontarle insieme, nell'interesse del paziente: “Perché certi segnali possono essere comunicati dal caregiver al medico al momento giusto.”
Solo così è possibile intervenire in modo appropriato.
La Dottoressa Elisa Scaburri non ha dubbi: è importante che sia il paziente che il caregiver trovino uno spazio di contenimento emotivo.
“Il caregiver deve prendersi cura del paziente, ma deve prendersi cura anche di se stesso.”
E essenziale che il caregiver sia in uno stato di salute fisica, emotiva e mentale, sano.
“Ad oggi è fondamentale creare un'alleanza terapeutica col paziente.” L'obiettivo clinico, sottolinea la Dottoressa Cinzia Pellegrini, è curare la leucemia linfatica cronica, ma questo non può prescindere dal considerare la vita e la quotidianità del paziente, conoscere i dettagli della sua attività lavorativa, le sue passioni. In quest’ottica, dialogo, comunicazione e fiducia sono ingredienti chiave.
Il medico aiuta il paziente a vivere più a lungo. Lo psiconcologo aiuta il paziente a vivere meglio.
Dal momento che i trattamenti sono a medio e a lungo termine, la qualità della vita diviene un fattore importante.
“Prima di tutto, parlarne.” La Dottoressa Elisa Scaburri consiglia, a paziente e caregiver, di avviare un dialogo con un professionista.
Ciò significa raccontarsi, esprimere le emozioni che si provano, le paure, le angosce, le preoccupazioni, dar loro un nome, in modo tale da elaborarle e affrontare al meglio il momento che si sta vivendo, preparandosi a gestire eventuali peggioramenti.
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