EMATOLOGIA ON STAGE:

<strong>EMATOLOGIA ON STAGE:<strong></strong></strong>

Leucemia Linfatica Cronica
Dal supporto psicologico all’alleanza terapeutica

Eliana Liotta ha incontrato la Dottoressa Elisa Scaburri, psiconcologa dell’Ospedale San Raffaele di Milano, la Dottoressa Cinzia Pellegrini, Ematologa al Policlinico Sant’Orsola di Bologna e il Dottor Antonino Greco, Ematologo all’Ospedale Civico di Palermo, per parlare di Leucemia Linfatica Cronica.
Inquadriamo subito i segni della Leucemia Linfatica Cronica.

Il Dottor Antonino Greco sottolinea immediatamente che “la maggior parte dei pazienti raggiunge una diagnosi del tutto occasionale.”

La diagnosi, spesso, arriva in corso di accertamenti svolti per altri motivi, e si caratterizza per la cosiddetta linfocitosi: “Un aumento di un tipo specifico di globuli bianchi.” Questo è un primo segnale d’allarme riscontrabile già dal medico di base, che poi richiede all’ematologo di svolgere una valutazione più ampia. Attraverso prelievi del sangue, emocromo e citofluorimetria, si arriva a una diagnosi precisa di leucemia linfatica cronica.

Si tratta, come ci ricorda il Dottore, di “un paziente asintomatico, che probabilmente rimarrà asintomatico anche per molto tempo. Circa il 50% dei pazienti in stadio iniziale rimane asintomatico anche per decenni. Però sono pazienti che vanno, ovviamente, seguiti e controllati in ematologia per verificare se, e quando, la situazione dovesse modificarsi.”

Veniamo ora all’impatto psicologico della malattia sul paziente.

La Dottoressa Elisa Scaburri non ha dubbi in merito: i momenti di maggior stress psicologico sono quelli di attesa, nei quali la malattia è asintomatica e il paziente non ha bisogno di cure, ma solo di controlli.
“Sono proprio questi i momenti che creano e generano la maggiore ansia e angoscia nel paziente.”

È dunque fondamentale interagire in modo adeguato con il paziente, soprattutto quando si comunica una diagnosi di Leucemia Linfatica Cronica.

Per i medici, la diagnosi è il punto di arrivo di una serie di indagini cliniche, che portano a una interpretazione dei sintomi manifestati dal paziente.
“Per il paziente, invece” sottolinea la Dottoressa Cinzia Pellegrini, “la comunicazione di una diagnosi di Leucemia Linfatica Cronica è l’inizio di un grosso cambiamento nella sua vita, perché passa da una condizione di salute a una condizione di malattia.”

Sul piano psicologico, il medico deve comunicare la diagnosi con un linguaggio comprensibile al paziente, deve essere disposto a rispiegare più volte se il paziente non ha compreso appieno la natura e le implicazioni della diagnosi: “E deve rispondere anche ai suoi dubbi.”

Dopo la diagnosi, è fondamentale saper riconoscere i segnali d’allarme di un eventuale peggioramento clinico.

Secondo il Dottor Antonino Greco, da questo punto di vista medico e paziente sono fortunati: “Questi pazienti sono seguiti cronicamente in ambulatorio e questo consente di accorgersi, al momento giusto, che qualcosa nella malattia sta cambiando.”

I segnali d'allarme provengono, in genere, da un’alterazione dei valori degli esami del sangue: raddoppio continuo della conta dei globuli bianchi, riduzione dei livelli di emoglobina (anemia) o delle piastrine (piastrinopenia) ingravescente, che non ha altre giustificazioni cliniche.

Ulteriore fattore, non da meno, è la valutazione che fa il medico dei linfonodi: “I linfonodi sono le nostre stazioni di difesa.” Nei pazienti con Leucemia Linfatica Cronica sono ingrossati, rigonfi in maniera lieve o in modo più importante. Queste adenopatie possono essere un segno di peggioramento o segnalare la necessità di trattare la malattia.

Il lavoro clinico svolto dal medico è poi supportato dal ruolo del caregiver.

Il caregiver è, per definizione, la persona che si prende cura del proprio caro: lo accompagna alle visite, è presente al momento della diagnosi, durante i controlli, quando si prendono decisioni terapeutiche.

“E anche la persona che assiste il proprio caro a casa.”
Nei momenti di solitudine, angoscia, preoccupazione e sfiducia, il caregiver è sempre presente.

Per questi motivi, il caregiver richiede preparazione e supporto per svolgere al meglio il proprio ruolo.

Il Dottor Antonino Greco parla del rapporto medico-caregiver: “Sicuramente il medico è tenuto a lavorare bene con il caregiver.”
E importante che il caregiver comprenda le problematiche esistenti e quelle che possono insorgere, in modo che medico e caregiver possano affrontarle insieme, nell'interesse del paziente: “Perché certi segnali possono essere comunicati dal caregiver al medico al momento giusto.”

Solo così è possibile intervenire in modo appropriato.

In tutto questo, il caregiver, così come il paziente, può e deve ricevere un supporto psicologico.

La Dottoressa Elisa Scaburri non ha dubbi: è importante che sia il paziente che il caregiver trovino uno spazio di contenimento emotivo.
“Il caregiver deve prendersi cura del paziente, ma deve prendersi cura anche di se stesso.”
E essenziale che il caregiver sia in uno stato di salute fisica, emotiva e mentale, sano.

Cambiamo, per un attimo, argomento: personalizzare il percorso di cure in base alle esigenze specifiche del paziente.

“Ad oggi è fondamentale creare un'alleanza terapeutica col paziente.” L'obiettivo clinico, sottolinea la Dottoressa Cinzia Pellegrini, è curare la leucemia linfatica cronica, ma questo non può prescindere dal considerare la vita e la quotidianità del paziente, conoscere i dettagli della sua attività lavorativa, le sue passioni. In quest’ottica, dialogo, comunicazione e fiducia sono ingredienti chiave.

E quando la malattia peggiora, è utile che medico e psicologo si prendano carico assieme del paziente.

Il medico aiuta il paziente a vivere più a lungo. Lo psiconcologo aiuta il paziente a vivere meglio.
Dal momento che i trattamenti sono a medio e a lungo termine, la qualità della vita diviene un fattore importante.

Avere una patologia come la leucemia linfatica cronica, in definitiva, può comportare momenti di crisi psicologica ed emotiva. Bisogna quindi armarsi di strumenti per gestire queste situazioni.

“Prima di tutto, parlarne.” La Dottoressa Elisa Scaburri consiglia, a paziente e caregiver, di avviare un dialogo con un professionista.
Ciò significa raccontarsi, esprimere le emozioni che si provano, le paure, le angosce, le preoccupazioni, dar loro un nome, in modo tale da elaborarle e affrontare al meglio il momento che si sta vivendo, preparandosi a gestire eventuali peggioramenti.

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