EMATOLOGIA ON STAGE:

<strong>EMATOLOGIA ON STAGE:<strong></strong></strong>

Amiloidosi da Catene Leggere
Come gestire gli aspetti psicologici ed emotivi della malattia

Eliana Liotta ha incontrato la Dottoressa Claudia Ivonne Finocchiaro, psicoterapeuta, per discutere gli aspetti psicologici associati alle amiloidosi.
Ricevere una diagnosi di malattia è un momento complesso per i pazienti.

Il primo pensiero che la Dottoressa Claudia Ivonne Finocchiaro si sente di condividere riguarda l’emotività del paziente: “Una diagnosi di una malattia rara è un momento difficile da affrontare. Spesso si innescano delle reazioni di paura, di tensione, di ansia.”
Sebbene sia molto importante affidarsi a degli specialisti per avere dei consigli e definire un piano terapeutico adeguato, viviamo in un momento storico nel quale i pazienti ricercano molte informazioni online: “Riuscire a trovare un modo per far sì che il web non sia un nemico, ma un amico” ci ricorda la Dottoressa “e trovare dei siti adeguati nei quali poter consultare delle informazioni scientifiche, è un pezzettino di cultura importante che gli specialisti potrebbero contribuire a creare.”
E dunque primario attribuire importanza alla scelta delle fonti.

Spesso, poi, il confronto con chi ha già dovuto gestire una situazione simile può essere di enorme aiuto per il paziente.

“Il ruolo del confronto è spesso molto importante, perché, essendo una malattia rara, non molti la conoscono e hanno conoscenze adeguate a riguardo”.
Imperativo è dunque confrontarsi con altri pazienti che hanno la stessa patologia.
Non bisogna però dimenticarsi, sottolinea la Dottoressa Claudia Ivonne Finocchiaro, che ogni paziente vive a suo modo la patologia: “Ci sono persone che amano di più il confronto nei momenti di difficoltà, e altre che invece preferiscono un po’ più di riservatezza e tranquillità.”

Veniamo, ora, al ruolo dei caregiver e alla loro comunicazione con il paziente, soprattutto nelle fasi più delicate della gestione della malattia e della vita sociale dei pazienti.

“Per i caregiver e per i pazienti: è importante che riescano a dialogare fra di loro.” In sostanza, è fondamentale che si instauri un supporto emotivo interno al nucleo familiare.
Se il caregiver e il paziente riescono a confrontarsi sulle emozioni che stanno provando, spesso questo permette loro di entrare in relazione col mondo in maniera diversa. Capita che si instaurino dei “non detti” all’interno dei nuclei familiari, che sono dei veri e propri macigni: “Ognuno è detentore di verità, ma nessuno ha voglia di comunicare la propria emozione all’altro membro della famiglia.”
Riconoscere e gestire assieme questi macigni, invece, porta spesso a un clima di supporto meraviglioso all’interno dei nuclei familiari.

Nonostante questo, nei momenti più critici di una malattia, i pazienti possono avere delle reazioni psicologiche importanti da monitorare.

Di fronte a una diagnosi di una malattia, spesso si attivano dei meccanismi di difesa, che sono anche inconsci, imprevedibili, che una persona può innescare proprio per reagire alla paura della malattia. Secondo la Dottoressa Claudia Ivonne Finocchiaro è molto utile riuscire a individuare questi meccanismi di difesa: “Riconoscerli, ti può permettere anche di chiedere un aiuto, avere un osservatore esterno come uno psicologo o uno psicoterapeuta, che ti può aiutare ad affrontare meglio questi momenti.”

Spesso, tuttavia, l’idea di chiedere aiuto a uno psicologo viene vissuta un po’ come un fallimento.

In realtà, commenta la Dottoressa Claudia Ivonne Finocchiaro, si potrebbe usare la seguente metafora per valorizzare il dialogo fra paziente e terapeuta: "Conoscere la nostra mente è estremamente difficile se noi proviamo a conoscerla da dentro, è come se uno dovesse esplorare il mondo a partire dal territorio devi prendere un sacco di treni, di mezzi di trasporto per esplorarlo tutto è molto più funzionale se hai qualcuno che ti aiuta a guardarlo dall’esterno, un po’ come un satellite che, insieme a te, mappa tutto il territorio del tuo terreno.”
Questo è ciò che fanno gli psicologi e gli psicoterapeuti: aiutano le persone, come dei satelliti, a riconoscere il loro territorio in modo che riescano a muoversi con maggior sicurezza e agilità, scoprendo un po’ alla volta, come funziona la loro mente.

E chiedere aiuto significa saper riconoscere alcuni “segnali” d’allarme.

Infatti, un campanello d’allarme importante è quando i pazienti incominciano a riconoscere che ci sono delle emozioni che non riescono a gestire, che diventano distruttive al momento della comunicazione con i familiari e della gestione del rapporto con loro.

Pertanto, è fondamentale che pazienti e caregiver si affidino, sempre più, a strumenti di gestione emotiva e di indagine psicologica.

La scienza, sempre di più, sta aprendo il campo a strumenti innovativi.
Ci sono strumenti top-down, che sfruttano tutte le risorse cognitive di un essere umano: parlare con qualcuno; confrontarsi con uno psicoterapeuta; parlare con un paziente che ha avuto una patologia simile; incontrare amici, immergersi nelle relazioni sociali; ma anche leggere un libro, oppure osservare il proprio respiro. E poi ci sono strumenti bottom-up, che usano il corpo per aiutare la mente a gestire le emozioni forti che si stanno provando: fare una camminata; fare sport; esplorare un posto nuovo in mezzo alla natura; mangiare qualcosa di buono; farsi una coccola; mettersi una crema o qualcosa di profumato e stimolare i sensi del proprio corpo.

Queste sono tutte risorse che possono aiutarci a gestire le emozioni in maniera diversa, orientarle in maniera tale che diventino costruttive, che ci garantiscano le energie necessarie per prenderci cura di noi stessi in tutti i momenti della nostra vita.

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