Qual è l'aspettativa di vita dei pazienti con MICI?

Qual è l'aspettativa di vita dei pazienti con MICI?

Molte persone si chiedono se di malattia di Crohn o di rettocolite ulcerosa si può morire. Le malattie infiammatorie croniche intestinali (MICI) sono patologie oggi ben controllate dalle terapie mediche ed eventualmente chirurgiche: ciò implica che la qualità di vita dei pazienti oggi diagnosticati può essere anche molto buona. Il miglioramento delle cure ha anche ridotto drasticamente la mortalità, che oggi si attesta attorno all'1-2 per cento: oggi a una persona che riceve una diagnosi di MICI si prospetta infatti una speranza di vita pressoché analoga a quella di una persona sana. È però sicuramente necessario monitorare nel tempo l'andamento delle due patologie, così da contenere il danno intestinale riducendo complicanze che potrebbero ridurre l'aspettativa di vita.

Cronicità e rischio di morte

In considerazione della loro cronicità e della loro scarsa mortalità, la vera sfida che pazienti e medici si trovano di fronte è pertanto quella della qualità di vita più che della sua durata. Le patologie e le terapie impiegate non dovrebbero infatti influenzare negativamente la possibilità di svolgere normali attività professionali e familiari: questo obiettivo, va detto, è oggi in gran parte raggiunto anche se si può fare ancor di più. La malattia di Crohn e la rettocolite ulcerosa insorgono spesso tra i 15 e i 40 anni, cioè in una fase di vita attiva: per questo è fondamentale che paziente e medico sviluppino un rapporto di cooperazione necessario a prevenire complicanze che potrebbero incidere sulla qualità di vita con ricadute psichiche quali depressione, ansia e stress. Spesso non è infatti il rischio di esiti fatali a spaventare i pazienti quanto invece la natura cronica di queste malattie che, specie subito dopo la diagnosi, può portare a traumi psicologici.

Monitorare le complicanze fisiche e psichiche

Altro fattore importante per preservare una buona qualità di vita, oltre che per mantenere ridotto il rischio di mortalità, è quello che riguarda le comorbilità. Un monitoraggio costante attraverso indagini di laboratorio e strumentali, come la colonscopia , è il primo passo per la prevenzione di danni alle pareti intestinali, del tumore al colon (il cui rischio è aumentato nei pazienti con rettocolite ulcerosa e in quelli con malattia di Crohn con interessamento colico) e di numerose altre condizioni che potrebbero portare a conseguenze infauste.

Il rapporto medico-paziente

Il primo passo, dopo l'accettazione della malattia, è quindi quello di costruire un buon rapporto con il proprio gastroenterologo: solo con una maggiore consapevolezza della patologia e a un dialogo aperto con il clinico si possono raggiungere traguardi terapeutici fino a qualche tempo fa insperabili. I pazienti che possono contare su un buon rapporto con il medico, inoltre, hanno maggiori possibilità di contenere l'impatto psicologico della malattia. Le conseguenze più gravi per i pazienti che ignorano la patologia sono infatti quelli psichici e sociali, peraltro statisticamente ben più probabili rispetto al rischio di andare incontro a complicanze fatali.

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Fonti
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