Uno studio pubblicato su "Scientific Reports" di Nature fa luce sulle ripercussioni psicologiche dell’isolamento sociale sulla popolazione italiana
La pandemia da Covid-19 ha avuto un enorme impatto sulla vita di tutti i cittadini: secondo l’Organizzazione Mondiale della Sanità, dall’inizio della pandemia i casi di depressione, ansia e disturbi del sonno sono raddoppiati, passando da una stima del 6% rispetto al totale di persone nel mondo all’attuale 13%. Una delle principali cause è l’isolamento forzato a cui regole e circostanze ci costringono.
La reclusione in casa e la solitudine sono attualmente alcuni dei motivi primari di sconforto e depressione per la popolazione. Il nostro organismo, infatti, ha bisogno di contatti umani nella stessa maniera in cui ha bisogno di nutrienti: secondo uno studio pubblicato su Nature Neuroscience, nel cervello di chi è costretto ad un isolamento sociale prendono attività le stesse aree che vengono attivate dalla fame di cibo, soprattutto in quegli individui che precedentemente hanno goduto di una vita piena di interazioni sociali soddisfacenti. Non a caso infatti, da uno studio pubblicato su Scientific Reports di Nature, chi ha continuato, anche durante l’emergenza, ad andare a lavorare in presenza ha avuto meno probabilità di sviluppare sintomi depressivi e d'ansia, nonostante le criticità e lo stress della condizione straordinaria.
Non solo gli adulti subiscono l’impatto dell’isolamento. Una review pubblicata sul Journal of the American Academy of Child & Adolescent Psychiatry, che si è occupata di analizzare principalmente gli effetti dell’isolamento sui bambini, ipotizza che i giovani che stanno affrontando il lockdown senza contatti con i propri coetanei hanno tre volte la probabilità di ammalarsi, in futuro, di depressione e l'effetto potrebbe concretizzarsi fino a nove anni più tardi.