L'efficacia della cura non passa solo attraverso le terapie: è sempre più evidente l'importanza del rapporto-medico paziente, nelle malattie infiammatorie croniche intestinali. Perché il paziente sia consapevole della malattia e del percorso terapeutico occorre che tra i due si instauri un rapporto aperto, di fiducia e dialogo che consenta uno scambio di informazioni chiaro. Ciò è utile anche al medico, che può così fidarsi di quanto gli riporta il paziente in termini di aderenza alle terapie.
Del resto la ricerca WeCare, realizzata dal centro di ricerca EngageMinds-Hub in collaborazione con Amici onlus (l'associazione dei pazienti affetti da malattia di Crohn e rettocolite ulcerosa), ha dimostrato che una cura di qualità per chi convive con una MICI deve fondarsi proprio sulla capacità di ascolto e supporto da parte del medico e della struttura sanitaria di riferimento. Peraltro il dialogo con il medico è utile anche a contenere il disagio psicologico connesso alla cronicità della malattia.
Se quindi il rapporto con il nostro Gastroenterologo deve essere cordiale, alcuni paletti vanno posti: non deve infatti diventare troppo stretto. Una giusta empatia, ma senza un eccessivo coinvolgimento emotivo, è necessaria a evitare conseguenze negative per il paziente stesso. Pensiamo alla malaugurata ipotesi in cui il medico dovesse porre il paziente davanti a una scelta difficile oppure si trovasse a dovergli comunicare una diagnosi infausta: la troppa vicinanza sarebbe controproducente. Ecco perché è importante che il paziente sia cosciente che il rapporto con il suo Gastroenterologo non potrà mai essere quello che ha con un amico. Quando manca questa giusta distanza si può cadere nella dipendenza affettiva: alcuni pazienti sbagliano infatti nel porsi in una posizione di subordinazione nei confronti del medico, motivata dalla paura per la malattia. Rischiano allora di diventare assillanti, interpellando il Gastroenterologo per ogni minima paura. Così però cresce in loro l'ansia e il costante bisogno di rassicurazione. D'altro canto ci sono invece pazienti che fanno l'opposto, sbagliando comunque: reagiscono alla paura della malattia negandola, rifiutando così l'aiuto del medico e le terapie.
L'atteggiamento giusto è dunque una sana via di mezzo: apertura, ma rispetto dei ruoli. Il rapporto medico-paziente deve essere sufficientemente franco da consentire al paziente di avanzare tutti i suoi dubbi, anche a riguardo del rapporto stesso. Ricordiamoci a tal proposito che non esistono domande sbagliate o frasi da non dire, a un medico: sono proprio le domande, anche quelle che ci sembrano più stupide, a rendere più agevole un percorso di cura che, nelle MICI, è inevitabilmente cronico. Questo vale in particolare al momento della diagnosi, quando il paziente manifesta sentimenti contrastanti: paura, rabbia, disagio e alla sua mente si presentano numerosi interrogativi e dubbi. Qui si gettano le basi di una relazione proficua ma anche della futura convivenza con la malattia.
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