L’esame della calprotectina fecale, utile dalla diagnosi al monitoraggio dell’attività della malattia, presenta diversi usi e vantaggi. Per esempio, per individuare e quantificare l’infiammazione mucosale nei pazienti con una MICI, l’esame oggi considerato gold standard è quello endoscopico. Si tratta tuttavia di un esame molto invasivo, costoso e che richiede tempo e preparazione da parte del paziente. Tutte caratteristiche, tra l’altro, che lo rendono non ideale per valutazioni continuative dell’attività della malattia. Negli ultimi anni, fortunatamente, per questo tipo di valutazione si è andata stabilendo la validità e l’utilità del test per i livelli di calprotectina fecale, molto più semplice, non invasivo e più economico.
La calprotectina è una piccola proteina che lega il calcio e lo zinco. È stata scoperta nel 1980 e si trova soprattutto in alcuni tipi di globuli bianchi chiamati neutrofili granulociti e, in misura inferiore, in altri tipi di globuli bianchi. In presenza di un’infiammazione attiva, i neutrofili migrano nella mucosa intestinale dal flusso sanguigno e qui tendono a degranulare, quindi a rilasciare il loro contenuto, inclusa la calprotectina, per proteggere dall’infiammazione. Maggiori quantità di questa proteina nel lume intestinale portano a maggiori quantità anche nelle feci. Qui i livelli di questa proteina possono essere misurati facilmente (ecco perché prende il nome di esame per la calprotectina fecale, perché ne misura la quantità nelle feci). Poiché riflette l’incremento della migrazione dei neutrofili attraverso la parete dell’intestino infiammato verso il lume, l’alto livello di calprotectina fecale può quindi essere usato come marker della presenza di un’infiammazione attiva nell’intestino. Infatti, le persone con una MICI tendono ad avere livelli più alti di calprotectina nelle feci delle persone non affette da una malattia infiammatoria intestinale.
Per valutare i livelli di calprotectina fecale quello che serve è solo un campione di feci. I livelli di calprotectina fecale normalmente sono alti durante le fasi di riaccensione dell’infiammazione e inferiori durante le fasi di remissione.Una delle caratteristiche della proteina che rende questo esame utile è che la calprotectina nelle feci rimane stabile per un periodo relativamente lungo, fino a sette giorni. Inoltre può essere individuata anche in piccoli campioni.
Grazie alla sua capacità di indicare lo stato di infiammazione dell’intestino il primo momento in cui è utile sottoporsi al test per la calprotectina fecale è all’inizio del percorso diagnostico. Con il passare del tempo e grazie a continue valutazioni dell’affidabilità del test negli anni, questo esame è considerato un esame di routine per distinguere i pazienti che probabilmente hanno una malattia infiammatoria cronica intestinale da quelli che invece presentano altre condizioni, come per esempio la sindrome dell’intestino irritabile. Recentemente poi si è convalidata sempre di più l’utilità di questo esame per valutare l’attività della malattia e la risposta ai trattamenti. Nel follow-up infatti, la risposta ai trattamenti non si può basare solo sui sintomi riportati dai pazienti che alle volte non ne sperimentano alcuno pur avendo una malattia in fase attiva.
Fino a qualche anno fa la procedura endoscopica, come una ileocolonscopia, era l’unica possibile a cui potersi rivolgere per capire se le terapie stessero avendo qualche effetto. Oggi non è più così. Negli ultimi anni diversi studi, come suggerisce una revisione condotta nel 2018 dai ricercatori del Centre Hospitalier Universitaire di Liegi (Belgio), hanno mostrato la validità del test per la calprotectina fecale, meno costoso e meno invasivo, come strumento di follow-up. Per esempio, uno dei target terapeutici oggi tenuto in grande considerazione è la guarigione mucosale e questa può essere determinata proprio in base ai livelli di calprotectina nelle feci. Una rapida e significativa riduzione nelle concentrazioni di calprotectina nelle feci dei pazienti con rettocolite ulcerosa e malattia di Crohn indica una risposta positiva ai trattamenti.
Quello della calprotectina fecale è un esame utile anche al momento di formulare una prognosi della malattia, se effettuato prima del trattamento e poi a intervalli regolari. Come mostrano i ricercatori della University of Essex in uno studio pubblicato quest’anno su Clinical Gastroenterology and Hepatology, un incremento costante nei livelli di calprotectina indica un aumento del rischio di progressione della malattia di Crohn indipendentemente dai sintomi. È infatti particolarmente utile misurare regolarmente i livelli di questa proteina nei pazienti asintomatici: può individuare precocemente quelli a rischio di imminente e improvvisa riacutizzazione della malattia.
L’esame per la calprotectina è usato, tra le altre cose, per distinguere le malattie infiammatorie croniche intestinali dalla sindrome dell’intestino irritabile ed è ben supportato da diversi studi. Per determinare l’utilità di questo test è stato misurato il livello di calprotectina nelle persone con Malattie Infiammatorie Croniche Intestinali e subito dopo è stato fatto loro un test endoscopico per vedere se i livelli erano descrittivi della situazione all’interno del tratto digestivo, mostrando una corrispondenza tra i risultati dei due esami. Livelli elevati di questa proteina nelle feci sembrano avere un valore predittivo maggiore rispetto ad altri marker (come PCR e VES) per quanto riguarda le MICI, in quanto consentono di individuare l’infiammazione anche in stadi tanto precoci da non poter essere rilevabili tramite altri esami.
Aspetti negativi
Uno degli aspetti negativi del test per la calprotectina fecale è il rischio di falsi negativi o di falsi positivi, tuttavia questi non sono comuni. Un paziente potrebbe davvero avere una MICI o un’infiammazione, ma i livelli di calprotectina potrebbero non essere tanto alti.