La Storia di Matteo

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La Storia di Matteo

Da dove comincio? Ho talmente tanto da raccontare e non vorrei tralasciare nulla, perché ogni singola fase a fianco del Crohn è stata diversa, ognuna mi ha portato nuove consapevolezze, nuovi limiti, nuove sfide. Cominciamo dall'inizio: ho ricevuto la diagnosi di Crohn quando avevo 19 anni, anche se era da almeno un paio che mi portavo dietro le prime avvisaglie. All'inizio solo qualche episodio di diarrea e un valore impazzito nel sangue, che ai primi accertamenti però non destò sospetti. Cambiò tutto dopo un'improvvisa pericardite seguita da ascesso anale e una febbricola che arrivava tutte le sere. Fu dopo l'intervento per l'ascesso, più lungo del previsto, che su consiglio del chirurgo feci ulteriori accertamenti, e scoprii di avere il Crohn. Ma allora ero troppo giovane e spensierato per preoccuparmi e, cosa di non poco conto, non avevo sintomi. Così cominciai qualche terapia, facevo le visite di controllo e via: tutto filò liscio o quasi fino alla fine dell'università. La malattia fino ad allora non aveva stravolto la mia vita di ragazzo. L’unico grande cambiamento che ricordo è di aver smesso di mangiare il passato di verdure...

Finita l'università e cominciato il lavoro, però, tutto è cambiato. Il mio corpo non sopportava più gli sgarri che mi concedevo prima – qualche drink, qualche sigaretta di troppo – e arrivarono i dolori. Mal di pancia, piccole sub-occlusioni che spesso mi facevano vomitare. Prima saltuariamente, poi con più regolarità. Ma anche allora non mi preoccupai più di tanto: credevo solo di essere in una fase particolarmente attiva della malattia. Sono andato avanti, imparando a fare sempre più rinunce la sera con gli amici, così come a tavola, fino ai 28 anni, quando la situazione è precipitata davvero. I dolori erano diventati una costante, e dopo l'ennesima risonanza di controllo sono finito sotto i ferri: mi hanno tolto 80 cm di intestino. Solo dopo ho capito a che punto fosse arrivata la mia malattia, e che non poteva essere normale quello che io consideravo normale. Ho passato un mese in ospedale tra sofferenze indicibili, ho dovuto imparare a stare in piedi e a rimettermi in forma: ero arrivato a pesare una cinquantina di kg, e per me, che svetto il metro e ottanta, non è un gran peso. Mi hanno sostenuto parenti e amici che non mi hanno lasciato, mai, neppure per un secondo. Sono stati sempre al mio fianco.

Una volta uscito dall'ospedale ho dovuto imparare a convivere con la mia ileostomia: il sacchetto mi ha accompagnato per sei lunghi mesi, insieme alla nutrizione parenterale per altri nove. Mi sembra impossibile ricordare ora quei tempi e come riuscissi a gestire tutto, eppure l'energia non mi mancava. La sera attaccavo la flebo per i nutrienti, ma ogni tanto mangiavo, per sfizio. Ero diventato l'infermiere di me stesso: stavo attento a non far staccare il sacchetto, sapevo rimetterlo, sapevo pulire tutto con attenzione per scongiurare infezioni. Ed ero felice, anche perché finalmente non avevo più dolori. Tanto che dopo un mese e mezzo decisi che potevo tornare a vivere da solo e andare al lavoro nonostante il sacchetto. Non so dire quanti colleghi si siano resi conto delle mie condizioni, o abbiano notato quella cosa che a volte si gonfiava sotto la camicia. Ad ogni modo io non mi sentivo a disagio. Sapevo però che dopo le 20 scattava il coprifuoco: niente più uscite, erano i miei amici a venire a casa, dove senza problemi si scherzava davanti alla mia flebo. Certo, mi pesava non avere qualcuno al mio fianco: ero single e volevo una storia d’amore. Quando riuscii a fare sesso nonostante tutti i miei orpelli, e addirittura a iniziare una relazione, capii che i limiti erano soprattutto dentro di me. Fu un’iniezione di sicurezza che mi diede molta carica, al punto che decisi di lanciarmi anche in una piccola vacanza, con tanto di flebo al seguito. Poco dopo finì la mia dipendenza dalla flebo, la mia vita cambiò ancora, ma solo in parte.

Gli sgarri non sono più tornati: dieta rigorosamente priva di fibre, no alcol, no sigarette, no fritti, no cibi pesanti, no grandi pranzi, no grandi cene. Alcune piccole eccezioni a volte ci sono ancora, vero, ma sono davvero piccole e solo quando sto veramente bene. I dolori ogni tanto tornano, e saltuariamente anche quelle maledette sub-occlusioni, con tanto di vomito. Ma sono diventato più bravo a sentire i campanelli d’allarme e a confrontarmi con il mio gastroenterologo. Le rinunce classiche hanno smesso di pesarmi, mandare all'aria tutti i piani per una giornata no invece mi pesa ancora, specialmente da quando mi sono fidanzato. Ho imparato tante cose: dal mappare tutti i bagni nelle vicinanze al saper dire di no, a usare l'ironia e a non nascondere la mia malattia, perché ho capito che se chi è intorno a te sa, è più facile fuggire dagli imprevisti.

Tutto bene quindi? No, i dolori pesano, così come le rinunce, le analisi, le colonscopie, le risonanze e le flebo. Pesa l’alimentazione piena di privazioni, la lotta per mantenere un peso decente. Eppure ci si abitua, e si arriva ad un certo punto in cui non si riesce più a scindersi dalla malattia, non si sa più com'era prima. Non esiste un consiglio magico, l’unica cosa che mi sento di dire è di imparare ad ascoltare il proprio corpo, a conoscersi e a convivere con sé stessi. Anche un po' di ottimismo non guasta, così come l'affetto di chi ci circonda e un po' di fortuna. Bisogna sperarci sempre.

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