Nel 2004 il premio Nobel per la fisiologia e la medicina fu assegnato agli statunitensi Richard Axel e Linda Buck “per le loro scoperte dei recettori olfattivi e dell’organizzazione del sistema olfattivo”1. L’olfatto è a tutti gli effetti “un senso da Nobel”. Perché allora non sfruttarne al massimo le grandi potenzialità? I ricercatori di tutto il mondo si sono impegnati in questa direzione, arrivando a sviluppare veri e propri “nasi elettronici” (chiamati anche e-nose, dall’inglese electronic nose) in grado di sfruttare gli odori – e le molecole che li compongono – per vari scopi: nell’industria chimica, per i controlli di qualità dei prodotti alimentari, per la valutazione dell’inquinamento atmosferico o ambientale e per alcune applicazioni militari2-4.
La medicina non è certo da meno, tanto che fin dai primi anni ’80 del secolo scorso hanno preso il via numerose ricerche per sviluppare nasi elettronici in grado di diagnosticare le malattie e aiutare i medici nella loro attività clinica5.
Una delle chiavi per comprendere come funzionano il nostro olfatto e i nasi elettronici è rappresentata dai cosiddetti composti organici volatili (VOC, dall’inglese volatile organic compounds), ovvero una serie di composti generati dal nostro organismo come conseguenza dei numerosi processi cellulari e metabolici che regolano il suo funzionamento5,6. Gli esperti ci dicono che un espiro contiene tipicamente 3000 VOC diversi in concentrazioni minime – nell’ordine di parti per milione, con alcuni presenti in concentrazioni che scendono fino a parti per miliardo e addirittura parti per trilione5. Si parla quindi di vere e proprie “impronte respiratorie”, un’espressione che indica l’insieme dei composti contenuti in un singolo espiro. Sappiamo oggi che l’impronta respiratoria di un paziente affetto da tumore è diversa da quella di una persona che non ha la malattia o che presenta una patologia diversa da quella tumorale2,5. Proprio su questo principio di riconoscimento delle differenti “impronte respiratorie” si basano i nasi elettronici.
Lo spunto è arrivato, come spesso succede, dalla natura che ci circonda e in particolare dal mondo animale. Il sistema olfattivo degli animali è infatti in molti casi molto più sviluppato di quello umano – pensiamo solo all’esempio dei cani molecolari così preziosi per le forze dell’ordine – e permette di identificare VOC presenti in concentrazioni pari a parti per trilione2,5.
Per quanto efficace, l’olfatto dei cani difficilmente potrebbe essere trasformato in uno strumento di diagnosi da portare in clinica, per la variabilità delle risposte e per le difficoltà organizzative che comporterebbe. L’alternativa? Un naso elettronico, sensibile quanto quello dei cani (a magari anche di più) e capace di analizzare il “volatiloma”, l’insieme di tutti i VOC2,4,5.
Non esiste un solo naso elettronico, ma molti nasi dotati di sensibilità diverse e basati su tecnologie a volte molto differenti tra di loro5. Semplificando molto un campo di ricerca estremamente complesso, è possibile dire che ad oggi i nasi elettronici sono in grado di definire le “impronte olfattive”, senza però distinguere con precisione le diverse molecole presenti nel campione analizzato (sia esso respiro o urina o altro liquido biologico). Da notare inoltre che i VOC sono presenti oltre che nel respiro anche in alcuni fluidi corporei come le urine e anche in questo caso, alcuni studi hanno mostrato che i cani sono in grado di distinguere diversi tipi di tumore annusando le urine dei pazienti2,3.
Passando dagli animali agli strumenti di laboratorio, l’analisi dei VOC veniva in origine condotta mediante tecniche come la gas cromatografia e la spettrometria di massa, mentre oggi la tecnologia permette di creare nasi elettronici basati su sensori (in numero di verso a seconda del “naso”) capaci di legarsi ai composti volatili e di trasformare questo legame in un segnale che viene riconosciuto e analizzato da specifici algoritmi di deep learning5,7,8. Il tutto per arrivare a definire l’“impronta” specifica per quella particolare condizione (per esempio un tumore). Sono tanti i progetti attivi e tante le tecnologie impiegate per cercare di migliorare sempre di più le performance dei nasi elettronici e tra questi non mancano progetti italiani come quello dei ricercatori dell’Istituto Europeo di Oncologia di Milano per studiare il tumore polmonare9 o quello dei gruppi del Politecnico di Milano e dell’Istituto clinico Humanitas, focalizzato invece sul tumore della prostata10.
Il tumore della prostata e quello del polmone rappresentano due casi emblematici di come la tecnologia del naso elettronico potrebbe aiutare a dare una risposta ad alcuni dei bisogni ancora insoddisfatti dei pazienti. In entrambi i casi, infatti, la diagnosi presenta alcune problematiche difficili da risolvere. Per il tumore della prostata, per esempio, la valutazione dei livelli di antigene prostatico specifico (PSA) è utile, ma porta spesso ad esami di approfondimento invasivi (come la biopsia prostatica) che si rivelano inutili perché magari portano alla diagnosi di tumori indolenti, che non darebbero problemi al paziente3. Per il tumore del polmone, invece, la diagnosi precoce è ancora un traguardo lontano data la mancanza di marcatori della malattia in fase precoce e di strumenti adatti a uno screening di massa della popolazione generale5,8. Ebbene, numerosi studi stanno dimostrando che i nasi elettronici potrebbero rappresentare una risposta a queste domande diagnostiche, e potrebbero anche aiutare in altre fasi della malattia.
Nel caso dei tumori del tratto genito urinario, uno studio italiano ha mostrato risultati promettenti nell’utilizzo del naso elettronico su campioni di urina per distinguere pazienti con tumore del rene dai controlli sani2. Altri studi sono stati condotti con successo anche sul tumore della prostata, dimostrando la capacità dei nasi elettronici di identificare i tumori e le potenzialità di distinguerne le caratteristiche di rischio3,11. Tanti gli studi sul tumore del polmone, nel quale i nasi elettronici si dimostrano promettenti nel distinguere pazienti con tumori (anche in stadi iniziali) da soggetti sani o da pazienti con altre patologie, di identificare diversi tipi di tumore del polmone e anche i pazienti che rispondono alle terapie8,12.
Le ricerche continuano e mostrano risultati promettenti, ma è importante ricordare che al momento questi strumenti sono limitati al contesto della ricerca e non sono ancora entrati a far parte della pratica clinica quotidiana8.