Le donne transgender possono avere un tumore della prostata? La risposta è affermativa, anche se i dati oggi disponibili su questa popolazione sono ancora piuttosto scarsi1,2.
La popolazione transgender, ovvero quelle persone che non si identificano nel sesso biologico assegnato loro alla nascita, è in crescita in tutto il mondo così come sono in aumento la sensibilità e l’attenzione verso i bisogni di questo gruppo di uomini e donne, che però ancora oggi sono frequentemente vittime di pregiudizio e stigma, che possono avere anche conseguenze a livello della salute fisica e psicologica1,3,4.
Un esempio di queste potenziali problematiche di salute sono i tumori legati agli ormoni e al sesso attribuito alla nascita, come per esempio il tumore della prostata nelle donne transgender (con sesso biologico maschile assegnato alla nascita) o nelle persone non binarie con sesso biologico maschile alla nascita1,2.
In questo contesto è importante sia per le donne transgender che per i loro medici non trascurare il rischio di sviluppare un tumore della prostata e il primo passo per poter raggiungere questo traguardo è senza dubbio avere le idee chiare sull’argomento.
Come già anticipato, i dati sull’incidenza del tumore della prostata nelle donne transgender sono piuttosto scarsi. In linea generale, gli studi disponibili mostrano un rischio più basso di sviluppare la malattia in questa popolazione rispetto a quella degli uomini cis (quelli che si riconoscono nel sesso biologico maschile assegnato loro alla nascita). Si parla di un rischio di 2,5 volte inferiore nelle donne trans rispetto agli uomini cis, ma dati recenti sembrano suggerire che il tumore nella popolazione delle donne trans non sia così raro come si pensava un tempo3,5,6.
Un altro dato interessare riguarda lo stadio del tumore alla diagnosi. Nelle donne trans, infatti, la malattia viene diagnosticata già in fase metastatica molto più spesso di quanto avvenga negli uomini4. Come si spiegano queste differenze? Senza dubbio la terapia ormonale di affermazione di genere gioca un ruolo di primo piano. Semplificando, lo scopo del trattamento è indurre cambiamenti fisici che siano in linea con l’identità di genere della persona e nel caso delle donne transgender si compone di una terapia per bloccare la secrezione o l’azione degli androgeni (gli ormoni maschili) affiancata a una a base di estrogeni (gli ormoni femminili) 1,4. Ebbene, gli ormoni maschili stimolano in genere il tumore della prostata e di conseguenza, eliminarli o ridurli potrebbe ridurre anche il rischio di malattia. D’altra parte, però, lo stigma, le barriere culturali e la mancata consapevolezza del rischio sono alla base dei ritardi diagnostici e del numero elevato di malattie metastatiche alla diagnosi3,4.
È possibile che alcune donne transgender non sappiano nemmeno di avere la prostata (che in genere non viene eliminata nell’intervento chirurgico di affermazione del genere) e di conseguenza non pensino a sottoporsi a esami di screening e di controllo per valutare la salute di questo organo3.
In questo contesto è fondamentale essere consapevoli dell’importanza della prevenzione e del riconoscimento dei campanelli di allarme che possono segnalare la presenza della malattia.
In linea generale, il rischio di tumore della prostata nelle donne trans, così come negli uomini cis, aumenta con l’avanzare dell’età. Il dosaggio dei livelli di PSA rappresenta uno degli esami più frequentemente consigliati in caso di sospetto di tumore della prostata e in alcuni paesi è raccomandato anche come esame di screening. A differenza di quanto avviene per gli uomini cis, non esistono linee guida specifiche per l’esecuzione dell’esame del PSA nelle donne transgender e questo porta spesso a una mancata partecipazione di queste donne ai programmi di screening3,7. Ma non è solo una questione di assenza di raccomandazioni: spesso le donne transgender si sentono a disagio nel sottoporsi a questi esami, oppure sono escluse dagli elenchi dei partecipanti allo screening o, ancora, non vengono invitate dai propri medici ad eseguire i controlli periodici2,3.
I risultati di un recente studio statunitense confermano l’esistenza di differenze nella partecipazione agli screening da parte di donne transgender e uomini cis e suggeriscono che tali differenze dipendano proprio da diversi approcci di cura da parte dei medici piuttosto che da difficoltà di accesso alle cure o da differenze socioeconomiche8. Uno recente sondaggio condotto tra gli oncologi italiani ha messo in luce una generale mancanza di conoscenze tra questi professionisti sulle questioni di salute delle persone transgender: questo sembra essere il principale fattore che genera difficoltà nel fornire assistenza e porta a volte ad atteggiamenti discriminatori nei confronti di questa popolazione9.
Le terapie ormonali e gli interventi per l’affermazione del genere possono influenzare la struttura e la funzione della prostata e “mascherare” alcuni segni e sintomi di un eventuale tumore prostatico2.
Ma quali sono i campanelli di allarme? In linea di massima, segni e sintomi non sono diversi da quelli che si osservano negli uomini cis e possono includere10:
Anche i problemi di erezione possono essere un sintomo legato al tumore della prostata, ma nelle donne trans che si sottopongono a terapia ormonale potrebbero anche essere semplicemente l’effetto della terapia anti-androgenica.