I dati parlano chiaro: quello della prostata è uno dei tumori più comuni: con 1,4 milioni di diagnosi ogni anno, a livello globale negli uomini è secondo per incidenza solo al tumore del polmone1. Nello Spazio Economico Europeo - che comprende i 26 Stati membri dell'Unione Europea, l'Islanda, il Lichtenstein e la Norvegia - nel 2020 il tumore alla prostata è stato diagnosticato a circa 341.000 uomini (il 23% di tutti i tumori maschili)2. Anche l’Italia conferma questo scenario: con una stima di circa 41.100 nuove diagnosi nel 2023, questo tumore è il più frequente tra gli uomini italiani e rappresenta nel Bel paese il 19,8% di tutti i tumori maschili3.
Di fronte a questi numeri appare chiaro che il tumore della prostata, oltre che una preoccupazione e una sfida per chi riceve la diagnosi e per i suoi familiari, rappresenta anche un problema di sanità pubblica decisamente rilevante.
Per questa ragione è importante cercare di capire anche come si evolverà lo scenario nei prossimi anni. Ci hanno pensato gli esperti della “Lancet Commission on prostate cancer”, che in un articolo pubblicato nell’aprile del 2024 hanno fatto il punto sui dati relativi al tumore della prostata e sulle stime per il futuro. In particolare, questo gruppo internazionale ha stimato per i prossimi 10-15 anni incidenza e mortalità legate a questo tumore e hanno anche fornito raccomandazioni su come affrontare questi problemi4.
Il numero di nuovi casi di cancro della prostata aumenterà ogni anno fino a passare da 1,4 milioni nel 2020 a 2,9 milioni nel 2040. Queste le stime degli esperti che spiegano come il cambiamento della struttura demografica della società (sempre più anziani) e il miglioramento dell'aspettativa di vita sono destinati a determinare un forte aumento dei casi di questa malattia. Anche la mortalità è in aumento, ma in questo caso è importante fare una distinzione tra paesi ad alto reddito e paesi a basso e medio reddito. La mortalità è in aumento e continuerà ad esserlo secondo le stime soprattutto nelle nazioni “povere”, mentre in quelle “ricche”, Italia inclusa, la mortalità per questo tumore è e rimarrà in genere stabile o addirittura in calo. Merito della diagnosi precoce, che salva molte vite, ma anche dei nuovi trattamenti introdotti negli ultimi anni e del miglioramento delle cure che guardano anche ad aspetti un tempo trascurati, come per esempio le preferenze del paziente e la sua qualità di vita.
La diagnosi precoce resta invece un miraggio in molti Paesi a basso reddito, dove il tumore viene frequentemente diagnosticato quando è già nelle sue fasi più avanzate e dove anche l’accesso alle cure più efficaci spesso non è garantito. Attenzione però a non sottovalutare il problema. Come ricordano gli esperti, anche nei paesi ad alto reddito ci sono alcune fasce di popolazione per le quali avere accesso alle cure non è così scontato, per la distanza fisica dai luoghi di prevenzione e cura, per ragioni culturali o, non di rado, anche per ragioni economiche. Meglio quindi, quando possibile, puntare sulla prevenzione cercando di eliminare o ridurre i possibili fattori di rischio.
La buona notizia è che ogni individuo può agire per ridurre il proprio rischio di tumore della prostata. In realtà, bisogna precisare che alcuni dei fattori di rischio rientrano nella categoria dei cosiddetti “fattori non-modificabili”, sui quali cioè non è possibile intervenire. Tra questi ci sono l’età (il rischio aumenta con il passare degli anni), la razza (gli uomini di colore sono più a rischio) e la storia familiare di tumore (per gli uomini con un padre o un fratello con tumore il rischio raddoppia e aumenta ancora di più se la malattia è stata diagnosticata in giovane età).
Ci sono però alcuni “fattori modificabili” sui quali si può e si deve agire. Ecco alcuni consigli pratici:
A differenza di quanto accade per altri tumori come per esempio quello del colon-retto, della mammella e della cervice uterina, per il tumore della prostata al momento non esiste in Italia uno screening nazionale, sebbene siano allo studio progetti pilota7. I dati oggi disponibili mostrano infatti che utilizzare solo i livelli dell’antigene prostatico specifico (PSA) per uno screening di popolazione non è la scelta migliore, dal momento che tali livelli si possono innalzare anche in presenza di condizioni che non hanno nulla a che fare con il tumore e di conseguenza il rischio di sovradiagnosi (e successivi esami invasivi come la biopsia) sarebbe molto elevato2.
L'EU Beating Cancer Plan ha recentemente pubblicato le raccomandazioni del Consiglio della Commissione Europea che propongono un'introduzione graduale pianificata dei programmi di screening per il cancro alla prostata per gli uomini sotto i 70 anni di età. In base a questo approccio, lo screening dovrebbe iniziare con il test del PSA, seguito da risonanza magnetica (MRI) o altri test diagnostici per chi presenta livelli elevati di PSA, prima di considerare la biopsia. L'obiettivo di questo approccio è appunto quello di mantenere i benefici nella riduzione della mortalità, riducendo al minimo i casi di sovradiagnosi2,8.
Resta però il fatto che l’aumento delle diagnosi di tumore della prostata è in buona parte legato alle politiche di screening messe in campo in diversi paesi e che portano, in alcuni casi, a identificare e trattare tumori che rimarrebbero silenti per tutta la vita. Ciò non significa che non si debba prestare attenzione ai sintomi e sottoporsi eventualmente a esami di controllo: l’importante è che questi esami siano pianificati in modo corretto, sulla base di dati scientifici chiari e delle caratteristiche personali e familiari di ciascun paziente2.