Una diagnosi di cancro è un evento destabilizzante, per il malato, ma anche per chi gli è vicino. Chi assiste un paziente oncologico, solitamente un famigliare – che nella letteratura scientifica indicato come caregiver (letteralmente “prestatore di cure”) informale (per distinguerlo da medici, infermieri e altre figure specializzate) – assume un ruolo che stravolge la sua normalità, al punto che rischia di non avere tempo per sé stesso e per le proprie relazioni sociali1.
La responsabilità di aiutare il malato nelle attività di base della vita quotidiana (lavarsi, vestirsi, mangiare, alzarsi…), dargli una mano a sbrigare le faccende e a gestire le terapie domiciliari, accompagnarlo alle visite mediche e così via è assai gravosa. Forse, tuttavia, è ancora più gravoso dover osservare la sofferenza del proprio caro2,3. Una ricerca danese che ha coinvolto 375 caregiver di pazienti con neoplasie ematologiche mostra che più forti sono i sintomi sperimentati dal malato, più grave è il disagio psicologico di chi li assiste; le fasi iniziali della malattia e delle terapie costituiscono perciò un momento particolarmente impegnativo per i caregiver1. Eventuali difficoltà finanziarie – che possono derivare dalle spese sostenute e/o dal fatto che andare a lavorare diventa difficile e a volte impossibile – sono fonte ulteriore di stress4.
Il costo fisico ed emotivo che consegue da tutto ciò (detto “carico del caregiver” o caregiver burden) può portare alla comparsa (o al peggioramento) di disturbi psichici come depressione e ansia, a disturbi del sonno – che contribuiscono ad aumentare il disagio psicologico – e a un generale peggioramento della qualità della vita2.
Che la salute mentale dei caregiver dei pazienti oncologici sia messa sotto scacco è testimoniato da un recente studio condotto negli Stati Uniti che rivela che i genitori dei bambini colpiti da tumore si rivolgono a un professionista della salute mentale (psicologo, psicoterapeuta, psichiatra) più frequentemente degli altri genitori e che ciò è vero soprattutto per le mamme, che normalmente hanno un ruolo preponderante nell’accudimento dei figli4. Gli autori della ricerca ritengono che i caregiver che avrebbero bisogno di aiuto psicologico siano più numerosi di quelli che effettivamente consultano uno specialista, ma che molti non hanno il tempo e/o la possibilità economica per farlo4.
C’è un fattore che può alleggerire il carico del caregiver e ne attenua l’impatto sulla salute mentale: il supporto sociale. Il supporto sociale può essere definito come l’esistenza di persone che tengono a noi e su cui possiamo contare5. Il supporto sociale di un individuo è caratterizzato da due dimensioni fondamentali: la dimensione strutturale – data dall’estensione e complessità della rete sociale – e la dimensione funzionale – ovvero il tipo di aiuto che si può ricevere (sostegno emotivo, aiuto pratico, informazioni). Il supporto sociale può essere “percepito” o “ricevuto”: nel primo caso una persona “sente” di avere qualcuno al proprio fianco in caso di bisogno, nel secondo beneficia effettivamente dell’assistenza altrui5.
Numerose ricerche hanno mostrato come il supporto sociale abbia effetti positivi sulla psiche perché sapere che altri possono fornire le risorse necessarie rende la situazione meno stressante e perché ricevere aiuto ridimensiona l’importanza data ai problemi che insorgono5. Per fare un esempio, in uno studio recentemente pubblicato sulla rivista Journal of Psychiatric Research che ha preso in esame quasi 200 genitori di bambini affetti da leucemia linfoblastica acuta (LLA), i genitori con livelli più alti di supporto sociale percepito presentavano meno sintomi di disturbo da stress post-traumatico (PTSD) – lo stesso disturbo che possono sviluppare i soldati che vanno in guerra , ma che colpisce anche i genitori dei bambini che si ammalano di cancro3. “Il nostro dato è in linea con i risultati di un altro studio in cui è stata osservata una correlazione negativa tra supporto sociale percepito e sintomi di PTSD tra i caregiver di pazienti adulti con leucemia acuta”, scrivono gli autori dello studio, spiegando che questi risultati “rafforzano la nozione consolidata secondo cui il supporto sociale percepito agisce come un ‘cuscinetto’ contro i sintomi di PTSD e il disagio collegato al cancro”3.
È interessante che in questi studi si faccia riferimento al supporto sociale percepito e non a quello ricevuto. Un altro studio che ha coinvolto più di un centinaio di mamme di bambini con LLA ha mostrato di nuovo che il carico del caregiver si riduce all’aumentare del supporto sociale, ma ha anche rivelato che a contare di più non è avere supporto a disposizione, ma quanto questo supporto è avvertito come prezioso dal caregiver2. “Disponibilità senza qualità può rendere il supporto inefficace”, avvertono gli autori di questa ricerca2. Altrimenti detto, una persona può avere una buona rete sociale, ma se non percepisce che chi fa parte di questa rete gli è solidale può comunque sentirsi sola davanti al baratro. Dunque, anche se all’atto pratico possiamo fare poco per aiutare qualcuno – un parente, un amico, un collega e via dicendo – che si sta prendendo cura di un malato di cancro, fare sentire la nostra sincera vicinanza può comunque fare una grossa differenza per il suo stato d’animo.
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