Non è un caso che il raggiungimento della migliore qualità della vita (QoL; dall’inglese Quality of Life) possibile per i pazienti sia oggi considerato un segno distintivo del successo delle cure oncologiche1.
In altre parole, si tratta di concentrarsi non solo sulla sopravvivenza del paziente, sui risultati degli esami, sugli aspetti tecnologici della cura, sui sintomi fisici direttamente collegati al trattamento, ma anche sull'impatto che la malattia e le terapie messe in campo per contrastarla hanno sul benessere quotidiano della persona, sui suoi problemi relazionali e lavorativi, sulle difficoltà finanziarie e sull'isolamento sociale1. Un traguardo che non può essere raggiunto senza la stretta collaborazione tra medico e paziente, senza dimenticare i caregiver, ovvero le persone che del paziente si prendono cura1.
Cerchiamo allora di comprendere meglio cosa si intende in medicina (e in particolare in oncologia) per QoL e come questo parametro entra nelle cure dei pazienti con tumori del sangue.
Il concetto di Qualità della Vita è piuttosto complesso da definire, per via delle molte sfumature che può assumere e i numerosi aspetti che può includere. L'Organizzazione Mondiale della Sanità definisce la qualità della vita come “la percezione che un individuo ha della propria posizione nella vita nel contesto della cultura e dei sistemi di valori in cui vive e in relazione ai propri obiettivi, aspettative, standard e preoccupazioni”. In ambito medico, inoltre, si parla spesso di “qualità di vita legata alla salute” (HRQoL; dall’inglese health-related quality of life) un parametro che valuta le connessioni tra la salute e la qualità di vita2.
Quando si parla di tumori, e in particolare di tumori del sangue, è importante notare che i grandi progressi nelle terapie hanno aumentato notevolmente la sopravvivenza per molti dei pazienti. Resta però il fatto che i trattamenti e le caratteristiche stesse di queste malattie hanno un peso importante sulla vita quotidiana di chi ne soffre, non solo nel momento della diagnosi e del trattamento attivo, ma anche dopo il termine delle cure3,4.
I dati oggi disponibili confermano che i tumori ematologici hanno un impatto negativo sulla qualità della vita legata alla salute e di conseguenza un trattamento davvero efficace non deve limitarsi ad aumentare la sopravvivenza, ma puntare anche a migliorare la qualità di vita. Non bisogna infatti dimenticare che la HRQoL è un parametro importante per definire la prognosi e l’aderenza alle terapie5.
L’impatto psicologico della diagnosi - che si aggiunge a quello fisico dei trattamenti - è notevole: diversi studi suggeriscono che la prevalenza di ansia e depressione nei pazienti affetti da tumori del sangue è superiore a quella dei pazienti affetti da altre forme di cancro3. Non manca però anche un impatto sociale, tanto che i pazienti in tutti gli stadi della malattia riferiscono problemi in tutti gli ambiti della vita quotidiana: dallo svolgimento delle faccende domestiche alla cura della persona, dal bisogno di servizi di supporto e ausili ai problemi finanziari legati alle cure o alla necessità di abbandonare il lavoro. Senza dimenticare poi i problemi di relazione sia all’interno che all’esterno della cerchia familiare, quelli legati alla sessualità o all’immagine corporea1.
Secondo il Codice Europeo di Prassi contro il Cancro, ogni paziente ha il diritto di “discutere con il suo gruppo medico riguardo alle sue priorità e preferenze così da ottenere il miglior grado di qualità della vita possibile” 1,6.
Come tutti gli altri principi elencati nel Codice, anche quello riportato in precedenza e legato alla QoL, si associa a tre domande che il paziente può scegliere di porre al proprio team di cura:
Ovviamente non si tratta di domande esaustive e immutabili, ogni persona può avere esigenze diverse e domande specifiche da porre al proprio medico – ma sono senza dubbio una traccia importante che ogni paziente o caregiver può decidere di seguire per affrontare il percorso di cura in modo più consapevole, senza trascurare alcuni aspetti essenziali della vita che a volte vengono posti in secondo piano di fronte a una diagnosi di tumore.
Nonostante le difficoltà nel trovare una definizione univoca di qualità di vita, sono oggi disponibili numerosi strumenti che permettono di misurare questo aspetto fondamentale del “viaggio” di ogni paziente dalla diagnosi al trattamento e oltre.
Si tratta in genere di questionari appositamente disegnati e validati per valutare specifiche aree della qualità di vita e sempre più spesso sono basati su dati riferiti direttamente dai pazienti, senza il filtro del medico. Sono i cosiddetti Patient-reported outcomes measures (PROM) 1. Utilizzare i dati clinici associati ai PROM può essere utile per valutare e comprendere i benefici del trattamento dal punto di vista del paziente, raccogliere informazioni sugli effetti tardivi delle terapie e misurare i benefici degli interventi di riabilitazione1. Numerose società scientifiche si stanno muovendo per cercare di promuovere l’introduzione dei PROM nella pratica clinica, non ultima la Società Europea di Oncologia Medica (ESMO) che nel 2022 ha pubblicato le sue prime linee guida sull’uso di questi strumenti nelle diverse fasi del percorso di cura oncologica7.
A onor del vero, va detto che fino a qualche anno fa i dati relativi alla qualità di vita non erano inclusi in molti studi clinici, o comunque lo erano solo come “esiti secondari”. Una recente analisi di 52 studi su tumori ematologici ha dimostrato che solo nel 46% dei casi la qualità della vita era parte degli esiti valutati dai ricercatori8.
La situazione però sta lentamente cambiando grazie anche ai numerosi studi che mostrano come l’uso di questi strumenti permette di identificare precocemente problematiche di tipo psicologico e fisico, di migliorare la comunicazione medico-paziente e la partecipazione del paziente alle decisioni di cura, migliorando il controllo dei sintomi e il benessere generale della persona1. Il tutto nell’ottica di una medicina che vede la persona al centro della cura.
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