Proteomica: l’arma in più per la diagnosi dell’amiloidosi

AMILOIDOSI

Proteomica: l’arma in più per la diagnosi dell’amiloidosi

Le proteine in grado di formare depositi di amiloide nell’organismo umano oggi conosciute sono circa quaranta. Identificarle con precisione, descriverle nelle loro specificità e fare lo stesso con i loro precursori, ovvero quelle molecole che le…

» Le proteine in grado di formare depositi di amiloide nell’organismo umano oggi conosciute sono circa quaranta. Identificarle con precisione, descriverle nelle loro specificità e fare lo stesso con i loro precursori, ovvero quelle molecole che le andranno a costituire, è un fattore chiave per una diagnosi accurata e, quindi, per proporre un trattamento il più possibile mirato nei pazienti con amiloidosi.

Negli ultimi anni questo lavoro di caratterizzazione è diventato sempre più preciso e accurato, grazie a una branca di studi chiamata proteomica; secondo Francesca Lavatelli e Giampaolo Merlini del Centro per lo Studio e la Cura delle Amiloidosi Sistemiche presso la Fondazione IRCCS Policlinico San Matteo di Pavia, la proteomica rappresenta solo l’inizio, è «uno degli strumenti più promettenti per migliorare ulteriormente la nostra conoscenza e gestione di malattie da misfolding proteico».

Cos’è la proteomica?
Per fare un semplice paragone, si potrebbe dire che la proteomica sta alle proteine come la genetica sta ai geni: è, per l’appunto, la branca che studia in larga scala il corredo proteico di un organismo o di un sistema biologico come un organo, un tessuto, una cellula.

Questo corredo è molto variabile: cambia da cellula a cellula e, se in parte riflette la il genoma, o meglio il trascrittoma (l’insieme dei geni che sono effettivamente trascritti ed espressi nella cellula), in realtà è molto più complesso, poiché l’attività delle proteine è determinata anche da altri fattori, oltre che dall’espressione di uno o più geni determinati.

Studiare il corredo proteico significa cercare di capire quali proteine sono espresse e dove, quante ne vengono prodotte, a quale velocità, con quale rapidità si degradano, come sono modificate dopo che la porzione di DNA a loro corrispondente è stata copiata e tradotta, in quali processi metabolici prendono parte e in che modo, come interagiscono con altre proteine.

Proteomica e amiloidosi
«L'identificazione precisa della proteina amiloide è un prerequisito per una terapia appropriata, per una prognosi accurata e, quando indicato, per una consulenza genetica», scrivono Lavatelli e Merlini, che spiegano poi come sia cambiato nel tempo il modo di studiarle.

In un primo momento attraverso tecniche biochimiche, istologiche e immunologiche. Poi è arrivata la proteomica che, secondo i due autori «ha rivoluzionato il campo della diagnosi di amiloidosi ed è considerata il nuovo approccio gold standard per la tipizzazione della malattia».

Negli studi di proteomica si impiegano soprattutto la spettrometria di massa, che è una tecnica di analisi molecolare che permette di misurare la massa del peptide che si accumula formando le fibrille e di ottenere altre informazioni specifiche.

In tempi più recenti, la spettrometria è stata combinata con altre tecniche, per esempio con la dissezione laser, che permette di caratterizzare con grande precisione il peptide coinvolto nell’amiloidosi esaminata, di ottenere praticamente una “firma proteica” specifica per quel peptide e, soprattutto, anche di caratterizzare le sequenze dei precursori delle proteine amiloidi.

Inoltre, l’analisi proteomica permette anche di ottenere informazioni sulle alterazioni del tessuto associate all’accumulo di catene leggere e, quindi, di capire meglio la dimensione e gravità del danno riportato dall’organo interessato.

Studi di proteomica nel tempo hanno permesso di individuare diversi tipi di amiloide, come hanno fatto, per esempio, alcuni ricercatori della Mayo Clinic, che, esaminando campioni di tessuto di oltre 16.000 pazienti con amiloidosi raccolti in un periodo di circa 11 anni, hanno identificato 21 tipi diversi di amiloide, alcuni anche rari, calcolando la frequenza con cui ciascun tipo si presenta nei diversi organi presi in esame.

Prospettive future
Un risultato che, secondo Lavatelli e Merlini genera inevitabilmente alcune considerazioni. La prima è sicuramente che la proteomica ha contribuito come nessun'altra tecnica a rimodellare la nostra conoscenza della distribuzione clinica dei tipi di amiloide prevalenti e rari, e ha permesso di scoprire diverse nuove forme.

In secondo luogo, i numeri presentati indicano quanto profondamente questo approccio abbia modificato la pratica clinica. Dai metodi pionieristici pubblicati circa un decennio fa, la proteomica dell'amiloide è ora uno strumento diagnostico comune in molti centri specializzati in tutto il mondo e, in molti casi, rappresenta la prima strategia di tipizzazione”.

Il risultato ottenuto dai ricercatori della Mayo Clinic è importante anche per le dimensioni del database utilizzato e creato. Poiché le sequenze dei precursori delle catene leggere sono praticamente uniche, rendendo le proteine monoclonali responsabili degli accumuli biochimicamente distinte, è necessario che i database a disposizione dei medici per confrontare i campioni dei loro pazienti siano imponenti.

Ci sono, tuttavia, ancora alcune sfide da affrontare e vincere, in primo luogo l’armonizzazione dei diversi approcci tra differenti centri clinici: ognuno, infatti, sceglie in base alle attrezzature disponibili e all’esperienza del proprio personale sanitario. Purtroppo, però, le varie tecniche non sono mai state confrontate direttamente e non è possibile stabilire quale sia l’approccio migliore. Inoltre, rimangono ancora da indagare altri possibili impieghi di queste tecniche: per esempio capire la natura degli aggregati di catene leggere o le relazioni molecolari, quindi strutturali, tra le componenti del deposito di amiloide.

«La proteomica ha ora una posizione consolidata nella valutazione clinica di routine dell'amiloidosi. Le sue future possibili applicazioni, come la quantificazione di specifiche proteine e peptidi, o la scoperta di biomarcatori, rendono questa versatile metodologia uno degli strumenti più promettenti per migliorare ulteriormente la nostra conoscenza e gestione delle malattie causate da “misfolding”, ossia dall'errato ripiegamento strutturale delle proteine», concludono gli autori.

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Bibliografia e Fonti:

Lavatelli F, Merlini G. Proteomics Fundamentally Advance the Diagnosis and Management of Amyloidosis, Mayo Clinic Proceedings, 2020; 95(9): P1816-1818. doi: 10.1016/j.mayocp.2020.07.013.

Dasari S, Theis JD, Vrana JA, et al. Amyloid Typing by Mass Spectrometry in Clinical Practice: a Comprehensive Review of 16,175 Samples. Mayo Clinic Proceedings, 2020; 95(9): P1852-1864. doi: 10.1016/j.mayocp.2020.06.029.

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